Giorgio Moroder
From Here To Eternity
Per quanto uno si possa sforzare, non potrà mai essere un figo come Moroder, il primo Giorgio a comparire nella Google search (sì, ha scalzato Armani!). Perchè essere uno dei più grandi innovatori e pionieri della musica pop degli ultimi quarantanni, un avanguardista a tutti gli effetti, ed offrire unimmagine di te degna del peggior capitano spaziale di qualche B-movie tamarro anni 70, senza per questo perdere ununghia della tua credibilità, al contrario accrescendola fino a trasfigurarla nellidolatria, beh, è impresa attuabile da pochi eletti.
From Here to Eternity è lalbum che consacra artisticamente il genio del maestro italo-tedesco (il successo commerciale era già arrivato grazie alle due storiche hit datate 1975, entrambe interpretate dalla compianta Donna Summer, Love To Love You Baby e I Feel Love). Tutte le ricerche e le sperimentazioni elaborate nei precedenti Einzelganger e Knights In White Satin vengono qui portate a definitivo compimento. Nel compositore di Ortisei sembra palesarsi la figura del non-musicista di enoiana memoria: del tutto privo di formazione musicale, Moroder, dopo un avvio di carriera stentato, giunto al termine di anni di faticosa gavetta, viene folgorato dalla scoperta del sintetizzatore, nel 1970 ultimo prodigio di tecnologia musicale, nonchè lo strumento che gli consentirà di dare vita al sound of the future, per dirla alla sua maniera, ottenuto tramite la liberazione da ogni concetto di armonia e di melodia, troppo vincolanti per il conseguimento dei suoi scopi.
In realtà, ciò che permetterà al nostro di compiere il salto che intercorre tra semplice precursore e icona sarà la visionaria intuizione di combinare gli algidi effluvi dei Moog (presenti sotto forma di sconnesse elucubrazioni atonali in Einzelganger) con la passionale musicalità propria della disco music e dellItalia (la suite Knights In White Satin, torbida e sensuale, rappresenta il lato più fisico della sua proposta). La fusione di due aree così apparentemente distanti tra loro (non dimentichiamoci che, a metà anni 70, la musica elettronica era più vicina a Karlheinz Stockhausen che a Lady Gaga) genererà quel suono del futuro tanto bramato; suono che avrà un impatto così forte sugli ascoltatori futuri da ripresentarsi ciclicamente fino ai giorni nostri (la chillwave, coi suoi bassi gommosi, frutto della nostalgia tutta videogames e musicassette per gli Eighties, è lì a dimostrarlo).
Molto semplicemente, From Here To Eternity detta la legge per quasi tutta lelettronica successiva: apparato percussivo con cassa in 4/4, charleston in levare e rullante sul secondo battito, da manuale disco, ma riprodotto da martellanti batterie elettroniche e cascate di sequencer bassi in sedicesimi costituiscono lavvolgente e trascinante presupposto, condicio sine qua non, per assemblare tutto il resto, dalle linee vocali, alle sovrapposizioni di synth, incastrate minimalisticamente, secondo il neonato verbo kraftwerkiano. Talmente semplice, che a uno verrebbe da dire: E immediato, potevo arrivarci anchio!. Peccato che nessuno ci avesse pensato, nel lontano 1977, non in questo modo, per lo meno.
Dunque, via con i primi cinque pezzi, che vanno a comporre una vera e propria suite electro di 17 minuti. Allinterno di essa si succedono gli episodi più disparati: dalle sfrenate danze della title track, cariche di un erotismo trattenuto, ma sempre pronto a divampare, agli arabeschi misterici di Faster Than The Speed Of Love, passando attraverso le atmosfere fantascientifiche di Lost Angeles e i vortici sintetici di Utopia-Me Giorgio, praticamente un pezzo di rave music con due decenni danticipo! Il collante di questo viaggio nei meandri di unipotetica metropolitana futuristica è linflessibile incedere della drum machine, ottusamente uguale a se stesso.
Gli unici che allepoca si erano spinti così avanti erano la già citata premiata ditta tedesca Hutter-Florian, con la doppietta Trans Europe Express-Metal On Metal pubblicata nello stesso anno e scusate se è poco! Se la composizione dei teutonici sarà, tuttavia, alla base della techno e dellindustrial, quella dellitaliano costituirà il pilastro inamovibile della house, della dance e dei suoi derivati o antesignani (si pensi al fondamentale movimento della Detroit Techno).
Sì, perchè, in fin dei conti, la più grande rivoluzione attuata da Giovanni Giorgio, da tutti detto Giorgio, è stata proprio questa: trasformare ciò che era appannaggio di unélite, studio speculativo di ricerca sonora, in un dionisiaco ballo suburbano, centrifuga di melodia e ritmo al contempo ancestrale e robotico, superando, per volgarizzazione (nellaccezione di appartenenza alla cultura popolare) le imprese, ben più celebrate dalla critica nel corso dei decenni, del duo di Dusseldorf o del francese Jean Micheal Jarre.
Dopo queste dissertazioni, poco importa analizzare nel dettaglio i rimanenti tre pezzi, tutti molto tirati e divertenti (non resisto, però, nel non menzionare Im Left, Youre Right, Shes Gone, praticamente i Daft Punk ventanni prima). Divertimento è, in definitiva, la parola chiave nellopera di Moroder: seminale e precorritrice dei tempi, ma sufficientemente intelligente da non doversi mai prendere sul serio (sfiorando, a tratti, la trascuratezza vera e propria, come nell'errore di vocoder lasciato in bella vista su First Hand Experience, In Second Hand Love), esattamente come il suo autore.
Opera capitale, da qui alleternità.
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