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R Recensione

8,5/10

Giorgio Moroder

From Here To Eternity

Per quanto uno si possa sforzare, non potrà mai essere un figo come Moroder, il primo Giorgio a comparire nella Google search (sì, ha scalzato Armani!). Perchè essere uno dei più grandi innovatori e pionieri della musica pop degli ultimi quarant’anni, un avanguardista a tutti gli effetti, ed offrire un’immagine di te degna del peggior capitano spaziale di qualche B-movie tamarro anni ’70, senza per questo perdere un’unghia della tua credibilità, al contrario accrescendola fino a trasfigurarla nell’idolatria, beh, è impresa attuabile da pochi eletti.

From Here to Eternity è l’album che consacra artisticamente il genio del maestro italo-tedesco (il successo commerciale era già arrivato grazie alle due storiche hit datate 1975, entrambe interpretate dalla compianta Donna Summer, Love To Love You Baby e I Feel Love). Tutte le ricerche e le sperimentazioni elaborate nei precedenti Einzelganger e Knights In White Satin vengono qui portate a definitivo compimento. Nel compositore di Ortisei sembra palesarsi la figura del non-musicista di enoiana memoria: del tutto privo di formazione musicale, Moroder, dopo un avvio di carriera stentato, giunto al termine di anni di faticosa gavetta, viene folgorato dalla scoperta del sintetizzatore, nel 1970 ultimo prodigio di tecnologia musicale, nonchè lo strumento che gli consentirà di dare vita al sound of the future, per dirla alla sua maniera, ottenuto tramite la liberazione da ogni concetto di armonia e di melodia, troppo vincolanti per il conseguimento dei suoi scopi.

In realtà, ciò che permetterà al nostro di compiere il salto che intercorre tra “semplice” precursore e icona sarà la visionaria intuizione di combinare gli algidi effluvi dei Moog (presenti sotto forma di sconnesse elucubrazioni atonali in Einzelganger) con la passionale musicalità propria della disco music e dell’Italia (la suite Knights In White Satin, torbida e sensuale, rappresenta il lato più fisico della sua proposta). La fusione di due aree così apparentemente distanti tra loro (non dimentichiamoci che, a metà anni ’70, la musica elettronica era più vicina a Karlheinz Stockhausen che a Lady Gaga) genererà quel “suono del futuro” tanto bramato; suono che avrà un impatto così forte sugli ascoltatori futuri da ripresentarsi ciclicamente fino ai giorni nostri (la chillwave, coi suoi bassi gommosi, frutto della nostalgia tutta videogames e musicassette per gli Eighties, è lì a dimostrarlo).

Molto semplicemente, From Here To Eternity detta la legge per quasi tutta l’elettronica successiva: apparato percussivo con cassa in 4/4, charleston in levare e rullante sul secondo battito, da manuale disco, ma riprodotto da martellanti batterie elettroniche e cascate di sequencer bassi in sedicesimi costituiscono l’avvolgente e trascinante presupposto, condicio sine qua non, per assemblare tutto il resto, dalle linee vocali, alle sovrapposizioni di synth, incastrate minimalisticamente, secondo il neonato verbo kraftwerkiano. Talmente semplice, che a uno verrebbe da dire: “E’ immediato, potevo arrivarci anch’io!”. Peccato che nessuno ci avesse pensato, nel lontano 1977, non in questo modo, per lo meno.

Dunque, via con i primi cinque pezzi, che vanno a comporre una vera e propria suite electro di 17 minuti. All’interno di essa si succedono gli episodi più disparati: dalle sfrenate danze della title track, cariche di un erotismo trattenuto, ma sempre pronto a divampare, agli arabeschi misterici di Faster Than The Speed Of Love, passando attraverso le atmosfere fantascientifiche di Lost Angeles e i vortici sintetici di Utopia-Me Giorgio, praticamente un pezzo di rave music con due decenni d’anticipo! Il collante di questo viaggio nei meandri di un’ipotetica metropolitana futuristica è l’inflessibile incedere della drum machine, ottusamente uguale a se stesso.

 Gli unici che all’epoca si erano spinti così avanti erano la già citata premiata ditta tedesca Hutter-Florian, con la doppietta Trans Europe Express-Metal On Metal pubblicata nello stesso anno e scusate se è poco! Se la composizione dei teutonici sarà, tuttavia, alla base della techno e dell’industrial, quella dell’italiano costituirà il pilastro inamovibile della house, della dance e dei suoi derivati o antesignani (si pensi al fondamentale movimento della Detroit Techno).

 Sì, perchè, in fin dei conti, la più grande rivoluzione attuata da Giovanni Giorgio, da tutti detto Giorgio, è stata proprio questa: trasformare ciò che era appannaggio di un’élite, studio speculativo di ricerca sonora, in un dionisiaco ballo suburbano, centrifuga di melodia e ritmo al contempo ancestrale e robotico, superando, per volgarizzazione (nell’accezione di appartenenza alla cultura popolare) le imprese, ben più celebrate dalla critica nel corso dei decenni, del duo di Dusseldorf o del francese Jean Micheal Jarre.

Dopo queste dissertazioni, poco importa analizzare nel dettaglio i rimanenti tre pezzi, tutti molto tirati e divertenti (non resisto, però, nel non menzionare I’m Left, You’re Right, She’s Gone, praticamente i Daft Punk vent’anni prima). “Divertimento” è, in definitiva, la parola chiave nell’opera di Moroder: seminale e precorritrice dei tempi, ma sufficientemente intelligente da non doversi mai prendere sul serio (sfiorando, a tratti, la trascuratezza vera e propria, come nell'errore di vocoder lasciato in bella vista su First Hand Experience, In Second Hand Love), esattamente come il suo autore.

Opera capitale, da qui all’eternità.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 16 voti.
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zagor 8,5/10
rubiset 8,5/10
Cas 9/10
REBBY 6/10
zebra 6/10

C Commenti

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zagor (ha votato 8,5 questo disco) alle 8:13 del 3 ottobre 2013 ha scritto:

my name is ggggiorgio!!!!

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 21:38 del 20 novembre 2013 ha scritto:

Se io scrivo Giorgio nella google search, giuro, al primo posto compare Gaber. Probabilmente (Orwell c'è lo aveva preconizzato) tiene conto anche del "profilo" dell'utente.

A me più che Figo Moroder all'epoca, con quei baffoni eccezionali veramente e quegli occhiali, sembrava un po' tamarro.

L'album in questione ( riascoltato anche oggi sul pc) non credo abbia apportato novità significative, rispetto a quanto già svolto da Giorgio in precedenza con Donna Summer (lei si figa eheh). Una volta azzeccata la formula, del resto, lui ha sempre fatto, più o meno, la stessa musica.

Non voglio sottovalutare il suo apporto, oltremodo significativo, agli sviluppi della musica da ballo (ha fatto scuotere persino le mie chiappe!) e anche pop rock, o pop e rock negli anni a seguire (fino ai giorni nostri), sia chiaro. Ciononostante ritenevo,e ritengo tutt'oggi, che in Germania, all'epoca, fossero (tanti) altri i musicisti più creativi, non solo quelli ricordati in recensione. Se poi si dice che la sua opera sia quella che ha più "attizzato" una moltitudine, rispetto agli altri krauti (pure gli altoatesini li mangiano eh), convengo. Ma più con donnasupper, che nelle sue opere soliste.

Riconoscendo il valore storico, rimango più abbondante sul voto rispetto al mio effettivo gradimento.

Lepo, autore, alle 17:36 del 21 novembre 2013 ha scritto:

La questione del "figo" era riferita proprio al fatto che, nonostante l'indubbia tamarraggine, il personaggio è diventato comunque iconico di un'epoca e di uno stile musicale ed estetico (comunque a me ha sempre ispirato molta simpatia). Tutto giusto quello che dici, qui in qualche modo porta avanti il discorso iniziato specialmente con I Feel Loved, quella forse il suo vero capolavoro, però mica potevo recensire un singolo! Eheheh. Sul discorso genialità, sì, è sicuro che in Germania girassero menti più visionarie del Giorgione, ma, nella sua concretezza, secondo me si è dimostrato anch'egli "geniale", almeno quanto molti altri.

zagor (ha votato 8,5 questo disco) alle 11:26 del 25 marzo 2015 ha scritto:

beh di capolavori ce ne sono tanti fatti da Moroder, sarebbe riduttivo parlare solo di "i feel love". ricordo che in un vecchio giornale che gli Air, giusto per fare un esempio, parlavano della colonna sonora di "fuga di mezzanotte" come uno dei loro dischi da isola deserta, e non è difficile capire perchè, "the chase" ha uno dei riff di musica elettronica più cupi e sinistri mai sentiti, rafforzato da quell'andamento orientaleggiante favoloso..insomma, sempre sia lodato il giorgio nazionale ( non armani e napolitano, moroder!)

Totalblamblam (ha votato 6 questo disco) alle 14:42 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Io ho trovato questo Giorgio sempre abbastanza pallosetto forse il vocoder alla lunga mi affatica l’ascolto. Capisco gli air , i daft punk e chiunque si sia cibato di queste sue innovazioni ma il suo capolavoro concettuale e produttivo resta, oltre a love to love you baby, I remember yesterday. Altre sue collaborazioni ( Bowie, Japan, Sparks ) non mi hanno mai convinto. Forse le cose migliori con gli Sparks: N1 in heaven è un gran bel disco, il successivo Terminal Jive non è all’altezza del predecessore.

“a metà anni ’70, la musica elettronica era più vicina a Karlheinz Stockhausen che a Lady Gaga” concettualmente si ( soprattutto sui Can con due membri del gruppo che seguivano o avevano seguito le sue lezioni, ma anche il duo Ralf&Florian che sarebbe poi diventato il gruppo più influente, intelligente, fico della storia della pop musica tutta con pochissimi altri) praticamente nel modus operandi direi proprio di no . Improponibile quella elettronica così teorica poi (alea, serialismo, musica concreta ) in un contesto rock anche perché molti studi di registrazione quelle strumentazioni non le avevano ne potevano permettersele : ci fu una sua “banalizzazione, volgarizzazione” a fini e creativi ma anche commerciali. Stockhausen non era ascoltato neppure in Germania ma ebbe una influenza da guru elettronico, da visionario di suoni appunto cosmici buoni per farsi tanti bei viaggi lisergici. L’alto e il basso si fusero ma oggi i ragazzi ascoltano phaedra non hymnen, surrealistc pillow non mikrophonie. La voce del padrone e non l’ Egitto prima delle sabbie.

Lepo, autore, alle 17:41 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Sì, sono fondamentalmente d'accordo, la frase che hai quotato dalla mia recensione la scrissi in una maniera volutamente un po' sommaria, forse avrei dovuto dire Kalus Schluze o Manuel Göttsching anziché Stockhausen, ma era solo per dare punti di riferimento definiti.

Totalblamblam (ha votato 6 questo disco) alle 14:06 del 26 marzo 2015 ha scritto:

Lepo non era una critica avevo capito il tuo intendimento solo che andava forse spiegato meglio. I punti di riferimento sarebbero stati messi in discussione con il passaggio di Baffone dalla produzione di Donna Summer alla nostrana tutte tette e culo Sabrina Salerno con il singolo like a yo-yo . Il pezzo spopolerà in tutta Europa e arriverà ad incendiare i freddi cuori finnici arrivando al primo posto. Per non dimenticare notti magiche inseguendo er gol ghghgh

zagor (ha votato 8,5 questo disco) alle 15:48 del 26 marzo 2015 ha scritto:

"Un'estate italiana" pezzo capolavoro, immortala come poche altre cose la fine della sbornia anni 80: purtroppo non ci fu il lieto fine sigh

Totalblamblam (ha votato 6 questo disco) alle 19:50 del 26 marzo 2015 ha scritto:

eh non ci fu il lieto fine per colpa di walter zecca e le sue uscite farfalline per favorire noti colpitori di testa come caniggia ! poi sarebbero arrivati anche i mitici vanzina con i cults le finte bionde e tre colonne in cronaca per decretare la morte degli anni ottanta ghhghg

zagor (ha votato 8,5 questo disco) alle 20:38 del 26 marzo 2015 ha scritto:

le famose "uscite a vuooto di zenga", come disse varriale LOl....tra lui e ferri proprio una bella frittata e poi i maledetti rigori. peccato, in finale la germania sarebbe stata massacrata come al solito, sollevare la coppa all'olimpico sarebbe stato indimenticabile sigh sigh