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R Recensione

7/10

Righini

Houdini

Giuseppe Righini è uno che sembra bazzicare poco il (sotto)suolo italico, musicalmente parlando. Nelle sue vene corre sangue berlinese o al massimo parigino, ma credere che venga da Rimini, capitale italiana (e non solo) del regno discotecaro, ha dell’incredibile. Sta di fatto che ha appena pubblicato un disco tanto bello quanto mitteleuropeo, nel senso che affonda le sue radici in una tradizione musicale molto lontana da quella di casa nostra, con echi addirittura kraftwerkiani se non daftpunkiani. “Houdini” è il terzo CD di Righini e, al contrario di quanto presunto sinora, è un disco felicemente italiano, nel senso che agli spettri wave, alle movenze elettroniche e a quel mood nordeuropeo, unisce il talento del fine cantautore, figura che proprio qui da noi ha dato i risultati di elevatissima poetica. Il disco prende il largo dallo squallido “Monge Motel”, con una citazione di Ian Curtis quando il nostro canta: «La vita che verrà ripete quel che sa, / qualcuno disse già: “l’amore ci separerà / ancora”». Il pezzo in questione trova il suo naturale prosieguo nell’elettronicissima “Bye bye Baba”, dove il ritmo si fa ancor più percussivo e progressivo. L’altro fulcro del disco sta tra i ritratti femminili di “Magdalène” e di Rosabelle (“Houdini”), ennesime protagoniste d’un café littéraire, che trovano un istintivo corrispettivo musicale nella meravigliosa “Tic Toc Bar”, quasi fossimo nell’ammazzatoio di zoliana memoria. Menzione speciale per “Nonsense dance” dove Righini si fa ludico e un po’ dada tanto che, prendendo in prestito le automazioni dai Righeira e i giochi al vocoder dai Daft Punk, in un amabile girotondo di suoni digitali, canta: «Si va da A verso B fino a Z / e poi si ricomincia da capo». Permangono poi soffici artifizi elettronici in “Lungo la strada”, ricercate forme cantautorali in “Non siete soli” e accenni di rock ballad in “Amsterdam” e “Licantropia”.

Houdini” è un disco ben congeniato, dove l’elemento musicale, nei momenti di calma apparente, lascia spazio al cantato, dunque alla profondità autorale di Righini, indaffarato a costruire e immaginare vite nei bar dei fleurs du mal; ma quando il testo latita ecco scatenarsi il technopop, forse il vero grande amore di questo artista riminese.

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