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R Recensione

7/10

Limone

Spazio, tempo e circostanze

La leggerezza è sempre stata una delle caratteristiche più affascinanti dell’elettropop. In Italia, negli anni Novanta, vivemmo una stagione particolarmente felice in quel senso, anche se la critica fu spesso negativa. Certo, quasi sempre si trattava di canzonette, eppure credo che ci vorrebbe una riscoperta filologica di quella stagione creativa, perché in essa fiorirono cose buone, idee innovative, suoni originali. Band come Üstmamò, Delta V, Bluvertigo, Soerba, seguite negli anni da Tricarico, Megahertz, Alibìa, Bugo e oggi da Amor Fou, Lo Stato Sociale, Amari, Ex-Otago, Il Genio. A tutti questi nomi, che la notorietà, in un modo o nell’altro, l’hanno raggiunta, va oggi aggiunto Limone, cantautore di Cittadella che nel febbraio 2013 ha dato alle stampe il suo delicato esordio, tra nonsense e easy listening. Anche se l’Italia non è più quel posto fantastico dove spendere e spandere, continuiamo a trascinarci nell’era delle apericene e dei pool party. E la colonna sonora di questa finta spensieratezza non può che essere “Spazio, tempo e circostanze” di Limone, all’anagrafe Filippo Fantinato.

A far da traino all’intero disco è proprio “Aperitivo?”, dedicata a chi posta su Facebook la foto del proprio insulso apertivo, nella quale Limone canta: «Oggi sono uscito per errore / all’orario apertivo, / come sempre ho parlato di niente, / tutti quanti parlavan del tempo». E poi ci sono “Assomigliavi a Marte”, canzoncina sentimentale; “Lettera ad un produttore”, satirica invettiva ad un discografico italiano che evidentemente voleva produrre il solito rock con gli accordi in croce; “Proiettile di lana”, indirizzata a chi vive di forma e non di sostanza; “Chi sono io?”, apertamente dedicata a chi vince Sanremo, ultima e unica vetrina della musica italiana, sempre più prodotta serialmente in TV e che delude le aspettative di chi davvero ama la musica italiana. Il mood di “Spazio, tempo e circostanze” resta incollato al synth pop all’italiana, tra echi morganiani e la metrica tipica di Tricarico. Difatti l’ermetismo cantautorale di quest’ultimo vien fuori in “Luce d’agosto” e “Per tre”, mentre ne “La festa di San MenaioLimone parla di condoni edilizi; bellissima la dedica di “Beatrice”, a chi conserva per se stesso un giudizio severo; infine “Suo figlio è pazzo”, pop elettronico al 100%. È legittimo credere che le basi di questo disco siano state interamente scritte al computer, con l’aiuto di qualche periferica midi, anche se ci sono validi aiutanti in carne e ossa come Giulio Filotto alle chitarre, Matteo Franzan al basso, Ilaria Fiorese ai cori e Leslie Lello al sintetizzatore.

Di quella stagione di cui parlavamo in apertura ben poco rimane – e poco rimane di quell’Italia forse veramente spensierata – ma certo è che inserire nella leggerezza dell’elettropop una critica alla noia dei tempi mi è sempre sembrata una buona cosa. Non a caso questo disco è una buona cosa.

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