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R Recensione

6,5/10

The Green Man

Musick without tears

Musick without tears” è un disco di inni telemici di magia, rituali, amore e disperazione, ispirato alla vita e all’opera di Aleister Crowley e Kenneth Grant, il primo artista occulto per eccellenza del Novecento, il secondo prolifico scrittore tifoniano. Se pensate che l’occultismo pervada soltanto alcuna musica metal vi sbagliate: il progetto The Green Man (Eliahu Giudice, Chiara Alice Lorenzini e Marco Garegnani) spazia dal jazz al folk, passando per post-rock e noise. Pubblicato dall’avanguardistica HR! SPQR, “Musick without tears” si presenta come un disco ineccepibile dal punto di vista strumentale, con qualche caduta sul cantato e, come scontata conseguenza di quanto detto finora, radiofonicamente inascoltabile. Ho trovato fin da subito interessante questo progetto milanese, cominciato con la visionaria cristianità di “The teacher and the man of lie” e arrivato oggi ad indagare musicalmente e autoralmente il mondo dell’esoterismo contemporaneo che affonda le sue radici nelle importanti teorie del “Re del mondo”, tracciate da eminenti intellettuali come René Guenon, Ferdinand Ossendowski, Joseph de Maistre e Saint-Yves d’Alveydre.

Si parte da “Horus calling”, con i suoni sulfurei dell’Agarttha, vero centro religioso del pianeta Terra, in un crescere di batterie che creano un immaginifico viaggio del tempo nell’Egitto di Ra, tra splendore incontrastato e sete di conquista. “Cefalù (song for Raoul)” comincia invece col rumore della battigia e pian piano, grazie anche alla chitarra di Nicholas Tesluk, si schiude verso panorami di rinascita spirituale, ben sintetizzati dalla città siciliana, emblema di ibridazione culturale fenicia, greca, latina e araba. Con “Blindness is bliss” la psichedelia orientaleggiante si fa spazio su un cadenzato incedere di ritmo per poi perdersi nell’amorevole abbraccio di “At Stockholm”, in un filtratissimo intrigo di suoni di corde. Registro tolamente diverso in “Chat Blanc”, bellissimo brano jazz ambientato nella Francia degli anni ruggenti tra Rue d’Odessa e Place de la Concorde, con Coco Chanel a far da palo a August Rodin e Pablo Picasso: il lavoro compiuto da Gianluca Becuzzi al campionatore è ammirevole, così come la cupa dolcezza di Carlo Gilardi alla tromba. Torna poi il simbolismo nero degli abissi magici in “In the desert. Chaos loved me with a knife”, con un manifesto inafferrabile che fa venire alla mente l’intangibilità dell’odierno Kali-Yuga (il brano si conclude col sortilegio luciferino “Zazas Zazas Nasatanada Zazas”). Un po’ di luce torna solo col violino di Francesca Crotti in “Freedom is a two-edged sword”, assieme ad un tocco di algida elettronica. Sfacciatamente lo-fi la successiva “67-69. Chancery Lane”, al contrario di “(Sweet) Kandy” che però sporca la sua semplicità con un testo che gioca troppo sulla confusione semantica esistente tra gloria e virtù. “Musick without tears” finisce drammaticamente con “Tetelesthai”, ultimo grido del Cristo morente ad un Padre che l’aveva abbandonato: il pezzo rende benissimo, dal punto di vista musicale, l’importanza del momento e infatti si conclude in un turbine noise, senza lasciare nulla di intentato.

Questo disco è importante perché affronta con una qualche parvenza di serietà un fenomeno culturale poco indagato. L’esoterismo è infatti una materia che diventa ridicola quando ridicoli ne sono i divulgatori, ma che vicevera è fonte di riflessione spirituale. Resta comunque bellissimo il booklet con i disegni di Dolorosa de la Cruz, pieni di figure femminili che trasfigurano in diavoli, o in satanici San Sebastiano, od ancora in ninfe con ali e corna il cui mestruo genera morte, visivamente vicine agli happening estremi di Carolee Schneemann.

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