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R Recensione

6,5/10

Saluti Da Saturno

Shaloma locomotiva

A mendo di un anno di distanza dal precedente “Dancing Polonia”, i Saluti Da Saturno son tornati con un disco partorito nel Laboratorio Bologna Mellotron (Labotron) per la collana di musica libera “Shaloma locomotiva”. La band romagnola formata da Mirco Mariani, ex batterista di Enrico Rava e Vinicio Capossela, coadiuvato da Marcello Monduzzi, ha messo su un baraccone itinerante con carillon, pianobar e balli di coppia. Dopo aver trascorso molto tempo a ricercare, con perizia filologica, strumenti desueti o addirittura dimenticati, Mariani ha deciso di rinvigorire le qualità del folclore di Romagna, a partire dall’eterno amore nei confronti del ballo liscio di Secondo Casadei, maestro orchestrale che affermava che «la musica romagnola non tramonterà mai, finché ci sarà una sola persona che avrà voglia di ballare».

La “Shaloma locomotiva”, che rimanda subito ad un immaginario fatto di viaggi e di pace, è un disco di cover più o meno profane. Si comincia con “La rosa bianca” di Sergio Endrigo, bellissima traduzione del cantautore istriano di “Cultivo una rosa blanca” del poeta cubano José Martí. Si prosegue con “Baciami tanto” (traduzione del classico “Besame mucho” di Consuelo Velázquez), che adesso diventa dissonante, elettrica ed elettronica. Quella che sembra una canzone ideale per il pianobar di mezz’estate, nei fatti si dimostra un pezzo assoluto, passibile di qualsivoglia interpretazione e rivisitazione. È la volta di “Ciao mare” di Raoul Casadei, una vera propria hit del boom del liscio (1973), con i Saluti Da Saturno che spolverano celeste, optigan, dulciton, clavicembali e armonium.

Dopo che una Geloso d’epoca trasmette per l’aere la lontana risonanza de “Il tango delle capinere” (di Cesare Andrea Bixio, quello di “Parlami d’amore Mariù”), i nostri confezionano il primo gioiellino del disco, “Sassi” di Gino Paoli, per l’occasione trasformata in un’avvincente canzone indie rock con tanto di distorsori e FX elettronici. Il sapiente utilizzo di arcaici sintetizzatori come l’Ondioline, il clavioline e il Solovox, producono effetti stranianti e allucinogeni in “Romagna mia” e una filastrocca ne “La paloma azul”, famoso standard brubeckiano. Il disco si chiude con un altro gioiellino, “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi” di Lucio Battisti, mutato in un dolce incubo synthpop con tramezzi orchestrali e noise, e con “Io che amo solo te”, altro brano endrighiano di illimitata portata, uno di quei capolavori della musica italiana che nella spiazzante semplicità trova la sua vibrante ed imperitura forza.

Nei Saluti Da Saturno c’è dunque la lucida follia del jazz, la scanzonata sottigliezza dei nuovi cantautori italiani (Brunori Sas, Colapesce, Ex-Otago, DiMartino ecc.), la cocciuta ricerca dell’originalità, l’altrettanto orgoglioso legame con la tradizione e il gusto vintage per i sintetizzatori malandati. Tutto ciò concorre a rendere quello dei Saluti Da Saturno uno dei progetti più interessanti del panorama italiano e, se è vero che “Shaloma locomotiva” va considerata una tappa intermedia o un esercizio di stile o un omaggio ai padri, altrettanto vero è che Mirco Mariani ha davvero qualcosa da dire, e i modi che utilizza ci piacciono assai.

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