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R Recensione

8/10

Fabio Orsi

Winterreise

Negli ambìti ambiti della musica ‘altra’, sperimentale, ambient, dronica, loop-ica, psichedelica, un posto di rilievo se l’è conquistato meritatamente un prolifico artista italiano, Fabio Orsi. Parliamo ovviamente, visto il contesto di riferimento, di musica che non ha nulla di commercialmente appetibile: non ci sono ritornelli, né melodie zuccherose o ritmi coinvolgenti. Nessun appeal per le masse, insomma. Se non vi piacciono questi generi musicali siete avvisati, quindi: statene alla larga.

Essenzialmente, e semplificando parecchio, Fabio Orsi realizza drones musicali, flussi di suoni ottenuti anche dalla elaborazione di suoni creati suonando chitarre e tastiere: “l’utilizzo di chitarre trattate e di vecchie tastiere fa parte del mio modus operandi da tempo oramai. L´idea di cominciare il processo creativo partendo da loop registrati in tempo reale mi soddisfa e rende le mie sessioni di registrazione intime e legate a mood precisi. La fase di elaborazione missaggio editing, segue quasi sempre la fase impulsivo-creativa. Mi piace credere che quello che registro in tempo reale sia parte di quello che sono, in quel preciso e determinato momento”.

Oltre alle sue molteplici e riuscite collaborazioni con altri artisti (Gianluca Becuzzi e Valerio Cosi i suoi più frequenti sodali), di tanto in tanto Fabio Orsi piazza la zampata solitaria. È il caso di “Winterreise”, uscito recentemente per l’etichetta giapponese Slow flow rec. Il lavoro è suddiviso in sei parti, “come i mesi di inverno che ho passato a Berlino. L’inverno, quello vero dura sei mesi qui, e per un meridionale come me significa sostare in un clima ovattato, grigio e nebuloso per molto più tempo. Da qui l´idea di dedicare un lavoro al tema dell´inverno, alla poca luce diurna, alla neve che ovatta i suoni, agli alberi e la vegetazione che sembra morire, appassire, scomparire, come la vita per strada, come una città che sembra non svegliarsi mai, giorno dopo giorno, che produce in silenzio, che si muove strisciando, che non pensa più ad alta voce”. Orsi costruisce drones ambientali di rara musicalità ed emozionalità. Un raro mix tra passato e futuro, o meglio, un ideale futuro pregno di rimandi, magari nascosti o camuffati, a elementi, ricordi, astrazioni più tradizionali.

In “Winterreise” il complesso lavoro dell’autore restituisce un flusso sonoro densissimo, emozionante, toccante. Musica che a me provoca sensazioni contrastanti: un felice struggimento, una placida malinconia, una allegra tristezza. Emblematiche le prime due tracce, quasi un risvegliarsi di antiche suggestioni, ma con sonorità tutt’altro che passatiste. È un flusso sonoro cui ci si deve abbandonare, magari da soli, in cuffia e ad un volume sostenuto. L’ascolto deve essere esattamente l’opposto di quello che l’abusato, e forse nel caso specifico inappropriato, termine ambient sembrerebbe suggerire. Non è musica da sottofondo, che lasci indifferenti, è musica cui dedicarsi totalmente, per un ascolto che restituisce molto, in termini di sensazioni ed emozioni: “come i pensieri si aggrovigliano nella mente, giorno dopo giorno, i suoni prendono forma, in un preciso istante e restano indelebili. Personalmente é stato un periodo di scoperta, intorno a me, di sofferenza e gioia, di abbandoni ed emozioni forti. Credo che tutto questo si senta, sotto pelle”. Un flusso sonoro ed un’estetica che a me hanno ricordato, in questo specifico lavoro, le produzioni degli Stars Of The Lid, anche se Orsi è certamente cerebrale e più musicale, più emotivamente coinvolgente.

Difficile, al solito, riuscire a rendere a parole le sensazioni che l’artista è capace di suscitare. Una consistenza emozionale che lo rende paragonabile, tra i musicisti contemporanei a lui affini, a William Basinski e Peter Wright. Dopo lo stordimento delle prime due tracce, la terza parte vive e si alimenta di presenze umane che si materializzano quasi fossero dei brandelli di ricordi di vita, mentre nella quarta e soprattutto nella quinta parte, si lambiscono territori più tradizionalmente ambient e psichedelici, screziati e sfuggenti. La parte sesta, infine, replica lo spessore sonoro delle prime due tracce, di cui sembra riprenderne idealmente il flusso emozionale. Una vera e propria “bolla” dronica, dentro cui si viene piacevolmente risucchiati.

Fabio Orsi possiede un tocco artistico peculiare che lo accompagna in tutte le sue realizzazioni, assolutamente unico e immediatamente riconoscibile. Una peculiarità musicale tipica solo dei grandi artisti.

 

P.S.: Un sentito ringraziamento a Fabio Orsi che, da me contattato, ha gentilmente accettato di approfondire alcuni aspetti del suo lavoro e di questo disco in particolare.

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C Commenti

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tramblogy alle 14:53 del 6 maggio 2010 ha scritto:

interessantissimoooh