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R Recensione

6/10

Mogwai

ZeroZeroZero O.S.T.

A ragione o a torto, il chitarrista Stuart Braithwaite ha definito i brani che compongono la colonna sonora della serie in otto episodi ZeroZeroZero (Sky Atlantic / Canal + / Prime Video, 2019), ispirata al sopravvalutato libro-inchiesta di Roberto Saviano, come alcuni degli episodi più oscuri che si possano mai trovare nell’ormai piuttosto corpulenta discografia dei Mogwai: come se, di questi tempi, fosse l’oscurità la cosa di cui dovremmo avere più bisogno, si potrebbe chiosare... Certo, la dedizione non manca agli immarcescibili scozzesi che, in attesa di produrre un seguito ufficiale del più che buono “Every Country’s Sun” (2017) e ad appena un paio di anni di distanza dal discreto commento sonoro al sci-fi Kin (2018), trovano il tempo di autoprodursi l’ennesima O.S.T. di lusso, la settima della loro carriera parallela, questa volta peraltro particolarmente elefantiaca nelle dimensioni (ventuno tracce, quasi sessantanove minuti complessivi). Un’abbondanza, forse inaspettata, tra le cui pieghe si nascondono alcuni lati positivi e svariati punti oscuri.

Non abbiamo mai gridato al miracolo per i risultati ottenuti dai Mogwai da soundtrack, capaci a tratti di prove all’altezza della situazione (si riascoltino la sonorizzazione di Zidane, un portrait du 21e siècle del 2006 o “Atomic” di dieci anni successivo), ma più spesso adagiati nel solco di una medietà senza infamia e senza lode (“Les Revenants” del 2013, il summenzionato “Kin”). “ZeroZeroZero”, in questo, non fa alcuna differenza. La primissima sensazione è, anzi, quella di riascoltare l’algido minimalismo di “Kin” innaffiato dai tormenti catacombali di “Atomic”, come confermerebbero i tremolanti contrafforti chitarristici al pianoforte isolazionista dell’iniziale “Visit Me” o la roboante synth-noir della successiva “I’m Not Going When I Don’t Get Back”. Il quadro generale che emerge dai ripetuti ascolti è piuttosto chiaro: ingabbiare le distorsioni dentro perimetri di minacciosa evocazione ambientale (superba è la gestione della tensione in “Chicken Guns”, così come accattivante è la shoe-wave di “Invisible Frequencies”), ampliare le possibilità e il raggio d’azione degli armamentari elettronici (i carpenterismi di “The Wife Was Touched”: il beat quasi grime sul quale si regge la polvere di lontane macerie noise di “Lesser Glasgow”), tentare qualche nuovo esperimento (le folate technoidi di “Frog Marching” sul pattern più fisico suonato sul disco da Martin Bulloch: la cattedrale di suono warpiano in “El Dante”) e, all’occorrenza, sfoderare i migliori trucchi della vecchia scuola post rock (le classicissime “Don’t Make Me Go Out On My Own” e “The Winter’s Not Forever”, rispettivamente piano- e guitar-oriented: l’essenziale duetto chitarra-piano synth al ralenti in “Moon In Reverse”; il dinoccolato western catatonico di “Modern Trolls”; gli Aereogramme trattenuti e gonfi d’emozione in “Witches Of Alignment”).

Detta così sembrerebbe un gran bel sentire, ed in effetti il prodotto finale, per quanto troppo lungo, è davvero piacevole ed eterogeneo, specialmente per i fan della band scozzese. Il problema, ammesso che per qualcuno questo costituisca ancora un problema, è che, spogliato della sua destinazione funzionale, “ZeroZeroZero” sembra accartocciarsi su sé stesso ed assumere i connotati, pericolosi, di una raccolta autoreferenziale di brani privi della giusta personalità per ambire alla dignità di stampa ufficiale. Un’impressione non esattamente positiva.

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