Skream
Outside The Box
All'inizio fu una trovata etimologica brillante: dubstep come applicazione di elementi dub allo stile 2-step garage. Definizione precisa e selettiva. Poi ci si rese conto che il 2-step si dissolse abbastanza rapidamente, mentre in parallelo continuavano a fiorire inziative dub-oriented. Fu così che si inziò ad etichettare come dubstep qualsiasi cosa unisse ritmiche techno decise, più o meno sincopate, a mix sonori dub, quasi sempre volti ad ottenere atmosfere cupe. Una classificazione sicuramente forzata, che lasciò perplessi per primi proprio i protagonisti della scena: si può unire sotto lo stesso tetto artisti dallo stile tanto variegato come Burial, Skream, Kode9, Boxcutter, Benga, Scuba?
Secondo chi scrive no, non in maniera così semplice almeno. Proposte come queste richiedono un'analisi più articolata, rinunciando alla tentazione di ridurre tutto ad una sola parola. Anche se, bisogna ammettere, il termine "dubstep" rimanda in maniera diretta ed inequivocabile a percezioni sonore facilmente identificabili, riuscendo a trasmettere subito le sensazioni legate a questa musica. Insomma, se tecnicamente la classificazione è spesso poco appropriata, dal punto di vista comunicativo è di sicura efficacia.
Oggi il mondo dubstep è più eterogeneo che mai, con la sua tendenza a rielaborare in senso dub espressioni appartenenti a territori differenti: techno, house, trance, folktronica, addirittura trip-hop. Skream, a tutti gli effetti un nome emblematico di quest'area musicale, interviene in questo nuovo contesto con due approcci differenti. Da un lato, il nuovo Outside The Box presenta brani classicamente dubstep, che rientano nei confini tecnici della rigida interpretazione, come a voler ribadire un autorevole monito a rilettore troppo elastiche. Brani come How Real, Fields Of Emotion e Wibbler rappresentano un netto ritorno alle origini del genere, una difesa conservatrice degli elementi originari. Il che paradossalmente corrisponde ad una novità, un'alternativa alla diffusissima tendenza all'ibridazione a cui assistiamo oggi.
Di contro, Skream inserisce nel disco altri brani di natura differente, che non tentano strani connubbi ma che di fatto sono assolutamente stranei alla scena dubstep. Ci ritroviamo quindi ad ascoltare 8 Bit Baby, pezzo pienamente collocabile nell'hip-hop, o CPU, electro dalle tinte scure, o ancora Where You should Be, bell'esempio di techno-pop vicino agli ultimi Röyksopp. Tutte scelte coraggiose, che prendono le distanze dal suono sviluppato nell'album d'esordio.
Ed è proprio nel paragone con Skream!, del 2006, che l'odierno Outside The Box può deludere. Non solo perchè il primo album vantava una qualità compositiva superiore, ma anche perchè sfaccettature tanto diverse possono suonare come tradimenti agli ascoltatori fedeli. Tuttavia, la fantasia andrebbe sempre apprezzata: il disco si lascia ascoltare con piacere e soprattutto senza sbadigli, tra momenti ben ispirati e cali non troppo vistosi. Giudizio che riflette, tutto sommato, l'intero panorama dubstep al momneto.
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