R Recensione

5/10

The Raveonettes

In and Out of Control

0:03: questo indica il display del mio (ormai mal ridotto) stereo, questo è quel che mi basta per riconoscere il “Raveonettes’ sound”.

Non che io possegga l’agognato orecchio assoluto, ma profonda è la differenza tra “particolare” e “distinguibile” e al duo danese il secondo aggettivo si confa a meraviglia.

Dall’esordio nel 2002 con l’Ep “Whip It On” riverberi, distorsioni, ossessioni docili per il si bemolle e voci al caramello sono passati attraverso tre dischi per trovare la sintesi nell’ultimo passo della ricetta uscito meno di una settimana fa: “In and Out of Control”.

Prendiamo i fratelli Reid e vestiamoli da lolite, tenteranno di tenere il broncio ma non ci riusciranno a lungo: Sune Rose Wagner e Sharin Foo mettono le questioni in chiaro già nei primi tre minuti scarsi, ove del suono denso di “Lust Lust Lust” resta solo un collegamento ideale col tema dei vizi. Nell’apripista "Bang" le scarpe di “Darklands” incontrano le gonnelline delle Shirelles in un abbinamento che ammicca nostalgico e consapevole al doo-wop, ma se aggiungiamo gli occhiali scuri di “Sound of Confusion” degli Spacemen 3 scopriamo da dove arrivi l’intro di “Gone Forever”.

Non ci sono più i “cieli sulfurei” di Los Angeles e Portland che come coltri sonore ammantavano la “Lussuria” datata 2007, l’aria newyorkese è gravida dei ricordi di una noia estiva scandita da “Rockaway Beach” dei Ramones e della richiesta di aiuto di Sune Rose, a cui prontamente la dolce voce del caschetto biondo fa da controcampo/canto, mostrando una sfavillante lucidità pop.

L'abusato binomio amore/droga con scene da overdose si riveste di glassa per diventare possibile colonna sonora da teen movie americano, così "Last Dance" pare decisamente un outtake di "Pretty In Black" o il seguito di "Bye Bye Lover" degli Everly Brothers  in cui lo xilofono stempera una tragicità che non suscita timore.

I Raveonettes affrontano lo stupro e il suicidio ("Boys Who Rape (Should All Be Destroyed)", "Suicide"), ma quel senso di empatia che riusciva a emergere dal racconto in prima persona dell'autodistruzione amorosa dei lavori precedenti si perde nel suono candeggiato e ripulito dagli echi in loop. La credibilità che la morte fisica e spirituale condensata in synth e shoegaze e poi affidata a cori alla Beach Boys possa raggiungere personalmente mi lascia perplessa; questo abbinamento però, unito all'ossessiva drum machine,  rende "Boys Who Rape" uno dei brani più insidiosi dal punto di vista dell'orecchiabilità e il più probabile candidato a raggiungere la fama da secondo singolo.

In "Heart of Stone"  la lingua cessa di leccare maliziose note di zucchero filato per immergersi negli interstizi tra le grandi radure della "Trilogia del dollaro" morriconinana e i The Lyres, e tornare in seguito nel punto prediletto: non si scappa dalle atmosfere screziate di nostalgia fifties della ballad "Oh I Buried You Today".

L'apertura verso fronti più dance e ipnotici avviene nel reiterato spelling di "D.R.U.G.S.", tentativo di accarezzare l'elettronica che lancia il beat e tira indietro la mano.

Restano tre tracce alla conclusione del disco, nell'ordine "Breaking Into Cars", "Break Up Girls!" e "Wine".

La prima dal titolo prometterebbe un incontro/scontro Ballard-Bowie, la seconda impara a memoria la lezione dei Dream Syndacate colpiti dall' accidia, l'ultima dai feedback del dream pop risultando eterea, dilatata, infinita e quasi impeccabile forse proprio perchè suona e odora (davvero troppo) di già sentito.

"In and Out of Control" era stato annunciato dagli stessi Raveonettes come "il disco più pop" e  nello svolgimento dispiega i meccanismi che in questa casa danese fanno da padroni: si attinge al garage e al surf cantando con capricci meno frastornanti piccole e grandi sconfitte, ma senza portare a galla le ossessioni, il rumore sordo dell'amore che si schianta al suolo, l'opportunismo che avevano permesso al lavoro precedente di non cadere nella ripetizione improduttiva e di mantenere l'attenzione su un livello medio con qualche picco molto piacevole, senza tralasciare il notevole calo del (precedentemente più che discreto) livello di songwriting.

Insomma, l'atmosfera "bubblegum" non riesce proprio ad aggiustare il tiro in "bubblegun".

Per il voto ero indecisa tra il cinque e il sei...

Cinque, ma non per il rancore del fan accanito (quale non sono, a patto che tra i parametri per valutare l'accanimento non ci sia la capacità di ascoltare più volte i trenta minuti dell'omonimo di Wagner totalmente in danese!) deluso, il motivo che li sussume tutti?

Si è giocato troppo a fare i Monotones...diventandoli realmente.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 4 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
target 6/10
babaz 7/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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target (ha votato 6 questo disco) alle 11:21 del 13 ottobre 2009 ha scritto:

Wow, che Mell in forma! Bellissima recensione. Il disco, in effetti, cala di una tacca almeno rispetto a "Lust lust lust", che alla fine aveva un mood scuro più compatto e un paio di colpi fenomenali ("Blush" su tutti: uno dei ritornelli pop, per me, più potenti degli ultimi anni). Qui le distorsioni jesus&maychainiane sono leggermente meno sfrigolanti e il tono più caramelloso, con quel rischio, che descrivi benissimo, di annacquare la portata distruttiva dei temi in un bagno (banalizzante) di miele. Ma, insomma, qualche melodia killer c'è comunque, qualche costruzione pop da pugno sullo stomaco pure, con quel piglio da angeli in esilio nei bassifondi che ormai è loro. E sia 6!

otherdaysothereyes (ha votato 5 questo disco) alle 19:53 del 13 ottobre 2009 ha scritto:

I raveonettes mi sono sempre piaciuti per il loro uso sfrenato, spesso radicale della distorsione che crea dei vortici rumoristici talmente esasperati da essere affascinanti (vi ricordate noisy summer?). Tolto il feedback quel che resta è un pop che a mio giudizio perde molta della sua attrattiva e qui è, in alcuni casi, addirittura dozzinale. Ottima recensione veramente!