A Boss Hog - Live report

Boss Hog - Live report

Torino, Spazio 211, 17 maggio 2009

Sono certa che se avessimo avuto otto anni per cenare, prepararci ed uscire di casa, proprio quegli otto anni che sono serviti alla coppia Spencer/Martinez per tornare sulle scene, saremmo comunque arrivati in ritardo: e così è stato.

Nello slalom tra i cantieri torinesi che regalano emozioni alla Mario Kart, riusciamo a ritagliare il tempo per una sigaretta prima di entrare e trovare già sul palco le Micragirls, trio femminile dalla Finlandia, carine ma forse non molto adatte al ruolo di spalla dell’intero tour europeo; ascoltando le prime battute di batteria e chitarra ricordano da vicino le Donnas, anche se con un po’ di carica in meno.

Non conoscendo bene tutti i pezzi riconosco qualche canzone sentita sul loro myspace: “Haunted Boy” non è affatto male, organo acido e voce vicina alla più nota Karen O, “My My Micraboy” lambisce il sound sixties-pop proposto qualche anno fa da quelle due biondine e una mora  che coi loro vestiti a pois ondeggiavano facendo spalancare gli occhi a tutti i maschietti sotto il palco…dai che ve le ricordate, le Pipettes!

Quasi tutte le canzoni vengono introdotte da tastiere sempre meno incisive, sarà forse la stanchezza del tour, ma a me non convincono più di tanto, sono all’oscuro se NME le abbia già immolate sull’altare dei must-know.

Dopo poco più di mezz’ora lasciano il palco e cala una sorta di silenzio afoso che un po’ intristisce, ma che avrà i minuti contati, sul palco si preparano i Boss Hog in formazione completa: Cristina Martinez (voce), Jon Spencer (voce e chitarra), Jens Jergensen (basso,chitarra), Hollis Queens (batteria), Mark Boyce (tastiera).

Sì, sono passati otto anni ed un po’ lo si nota dai fianchi della Martinez avvolti da strettissimi pantaloni in pelle nera, non da meno Jon Spencer con gilet e camicia, ma si sa che è la sua vera pelle ad esser nera, proprio come il blues lisergico che propone...che lo show abbia inizio!

Dopo un saluto al pubblico già sudato il treno parte: sul primo vagone, introdotto dall’attacco potente di Spencer, inneggia “Ski Bunny”, pezzo uscito nel 1995 con l’omonimo Lp “Boss Hog”, la Martinez urla e si muove come una signora del rock dovrebbe fare, Jon da parte sua fa poco, ma lo fa molto bene con schitarrate punk-rock belle sporche condite da una tastiera impeccabile.

Si continua con “Dedicated”, perla nera direi, infatti non è rintracciabile in nessun disco, ma solo in una demo version della City Slang.

Scivola come un muro di gomma in faccia (gomma dura però) “What The Fuck” con chitarra quasi grunge e persino metà ’90 e voci sempre più indiavolate, sui binari corrono poi tutte d’un fiato  “Strawberry” e “Trouble”; l’aria è sempre più calda, metaforicamente e non, tant’è che la cantante chiede a gran voce di spegnere i fari e questo sarà un presagio: with the lights out is MORE dangerous!

Spencer sembra non accettare il ruolo di gregario e chiede la parola con le sei corde, parte “Winn Coma”, valorizzata da una voce graffiante alla Poly Styrene e dal soul selvaggio delle tastiere di Boyle.

Le voci si incontrano in un duetto che a dir la verità ha poco di sensuale, ma c’è tra i corpi sudati sul palco (e tra il pubblico) una sorta di magia, tra sguardi maliziosi e sfregature d’anca: le urla dei due sveglierebbero anche l’animo più tranquillo, sebbene il basso passi sin qui quasi inosservato, giusto per dare più sostegno alle ritmiche minimali della Queens.

Proprio la batterista inizia a  percuotere un fondo di barile o di un vassoio da barman, non si capisce bene ed il pubblico si (ri)anima col il blues/stomp dei nostri tempi, le corde vocali della Martinez si mutano in sensualità e sussurri: “I Dig You” ci riporta ai suoni di cartavetro dei Pussy Galore.

Non c’è né tempo per rimpianti, né spazio per rilassarsi, si prosegue con le tinte funky e persino crossover di “Green Shirt” e “Sugar Bunny” dal primo MLP, un pezzo datato 1989, ma ancora potente e compatto, per arrivare all’intro inconfondibile delle tastiere di “Whiteout”.

Dal pubblico partono urla che sembrano dire:”Ah, sì, la canzone dello spot”, Cristina si fa sempre più lasciva  e si amalgama alla voce black della batterista Queens, ormai siamo completamente nelle loro mani.

Per “Monkey” Jergensen imbraccia una solida Mustang, Spencer continua ad insidiare e maltrattare la sua Silverstone d’altri tempi, ora le chitarre sono due e si sente, eccome se si sente, l’ultima parola spetta  proprio a lui che spinge al massimo il vox quasi a dire:”Basta, please”, ma non è ancora ora di chiudere il sipario.

Si cerca di respirare e riposare le membra con “Jaguar”, piuttosto soave per i canoni della serata, e dopo i ringrazimenti alle Micragirls attacca “Chocolate” ove Jon riprende il suo ruolo da leader innato ed emerge forse l’unico difetto della serata, il soffocare della batteria sotto la pila di amplificatori, un vero peccato anche perché in svariate occasioni la sezione ritmica tende a disperdersi, soprattutto con l’assenza del basso che sostenga.

Spencer presenta la band e la band presenta Spencer, dov’è James Borwn???

Il cerchio sembra chiuso, ma ecco arrivare “Count Me Out” in cui finalmente il basso pulsa e si fa sentire ricordando gli Screamers, per fortuna non guastata dall’attacco sbagliato della Martinez che, sebbene s’arrabbi, con il savoir faire della femme fatale sfoggia un ghigno che più sexy non si può ed annuncia l’ultima canzone brandendo con due mani il microfono: “Sick”.

L’atmosfera ormai è proprio satura, di calore, sudore e direi anche ormoni, la pantera dalle gambe lucide scende tra il pubblico e maltratta il filo del microfono…that’s the end!

Tutti noi ne vogliamo ancora ed ecco finalmente che sul tono di una marcetta Spencer è il primo a risalire sul palco seguito dal resto della band, servono invece più battiti di mani per far rientrare la front woman, sudata,sorridente e con una bottiglia d’acqua in mano che le scivola dalla bocca, un boato cresce e muore nell’urlo di Jon che attacca un riff alla Blues Explosion: è “Saved”, il big muff impazzisce e con lui la folla.

Questa è la fine, la vera fine, strumenti appoggiati a terra ed ognuno di noi cerca qualche sguardo complice per potersi dirigere verso la porta d’uscita, ma noi restiamo ed è proprio il magnetico bluesman del 2000 a far fuoriuscire schegge di rock zozzo ed inzuppato di feedback.

Partono altri tre pezzi senza pause, senza il tempo di capire qualcosa, in un vortice arioso di urla e corpi dimenati, “I wanna be just like Sid Vicious, I wanna be just like Marilyn”…per noi è una manna dal cielo, più della frescura tanto agoniata.

Spencer sino all’ultimo ha dato il meglio, sempre dalla parte della low fidelity e del blues, il cry baby alle tastiere di Boyce ha senz’altro fornito quell' atmosfera soul che non guasta mai, unico neo la batteria ogni tanto eclissata da basso e chitarra, proprio quel basso che solo in alcuni apici è risultato incisivo.

La (s)porca figura l’ha fatta sicuramente Cristina Martinez, anche se i tempi in cui posava nuda sulle cover degli album (e soprattutto così cantava, cosa che avrebbe definitivamente steso i maschi presenti allo Spazio 211) sono andati, resta pur sempre dotata di una grinta e di un carisma da insegnare, nonché di una voce che sa destreggiarsi tra toni languidi e graffianti: scende tra il pubblico, lo coinvolge e sconvolge e non ha paura di mostrare beffarda all’obiettivo di un fotografo i leggeri segni del tempo che passa, mentre tra il buio luccica l’anello al dito.

Anche sotto al palco i Boss Hog non si risparmiano, c’è chi chiede un autografo, chi una foto o chi semplicemente guarda incuriosito ed ancora intontito dalla performance.

La batterista offre anche del whiskey, a me non piace, ma qualcuno che se ne intende mi ha detto fosse ottimo, non mi resta quindi che godere dell’aria sul viso e di qualche pericolosa boccata di nicotina…vi avevo avvertiti, con le luci spente è stato tutto molto più pericoloso.

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simone coacci alle 10:27 del 25 maggio 2009 ha scritto:

Gruppo sozzo, lascivo, godereccio. Mi son sempre piaciuti i loro primi dischi. Report perfetto, Mell.