V Video

R Recensione

7/10

John Scofield

Uberjam Deux

Il buon John Scofield ha espresso l’auspicio che questo album, in cui la sua Ibanez si misura , per la seconda volta , (dopo Uberjam del  2002)  con ritmi “moderni” e tecnologici, lasciando da parte completamente lo swing , possa avvicinare al versante jazz del suo universo musicale nuovi e giovani ascoltatori. E’lecito nutrire qualche dubbio su questi esiti dell’operazione, perché l’annunciato  tragitto fra i  ritmi in levare, le strettoie del dub, il vorticare funky  e qualche  accenno techno, intrapreso da Scofield con il progetto Uberjam, se pur condotto con guida sicura e piglio modernista,  alla fine risulta un piccolo, piacevole viaggio fuori porta, con il paesaggio urbano e techno osservato dal finestrino. Troppo pulito il tocco chitarristico e bluesy del maestro, che troneggia, mirabilmente accompagnato dall’altra sei corde ritmica di Avi Bortnik, poco coraggiosi e un pò troppo di contorno gli sfondi  elettronici del progetto, che alla fine risulta meno rivoluzionario del previsto.

Se non ci si aspetta una conversione di Scofield  alla dance, “Uberjam deux” può, però,  riservare qualche bella sorpresa, lasciandosi apprezzare, oltrechè per la voglia di sperimentare ed esplorare del chitarrista statunitense (parliamo pur sempre di uno dei componenti della trimurti della chitarra jazz), anche per l’amalgama e l’equilibrio dell’omonima formazione, in pista da alcuni anni, (con i due chitarristi, Andy Hess al basso, Adam Deith e Louis Cato alla batteria e l’ospite John Medesky alle tastiere)  e per la mirabile architettura di alcuni episodi .

L’inizio è in chiave funky blues con gli incastri chitarristici di “Camelus” , che introduce ed avvicina al clima complessivo del lavoro, e la rotolante “Boogie stupid”, con  bella cornice di hammond. Quindi si scende  in pista con la cadenzata “Endless Summer”, arricchita  da una coda elettronica , per virare verso il pigro levare di “Dub dub”, uno degli episodi più inoffensivi del lavoro.

Fra il meglio, va segnalato il triplice omaggio al soul : prima con la autoesplicativa e seducente “Al Green song “, quindi con “Scotown”, in onore alla vecchia passione del chitarrista per la Motown, ed infine "Curtis Knew” dedicata  a Curtis Mayfield, “un pezzo con un feeling alal “Move on up” - sono parole dell’autore.

Su territori più consueti per Scofield si collocano invece gli episodi in chiave funky e fusion : “Snake dance”, con Bortnik autore di un incalzante cesello ritmico, e “Torero”, costruita su un incalzante crescendo ritmico e speziata di elettronica .

Sul finale John si lascia persino prendere da una tentazione pop con la facile ed accattivante melodia di “Just don’t want to be lonely”, già nel repertorio di Boz Scaggs e Marcia Griffiths, in precario equilibrio fra eleganza e kitsch, prima di congedarsi da questa elettro vacanza e tornare al jazz.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.