R Recensione

7/10

Squadra Omega

Nervoso

Piegandosi al giochino dei rimandi interni, se “Materia Oscura” – policroma rivisitazione delle istanze library settantiane – potrebbe essere visto come una versione liofilizzata e semplificata del mastodontico “Altri Occhi Ci Guardano”, “Nervoso” (due lunghe suite in 250 copie viniliche per Holidays) ricopre sicuramente la parte che due anni fa fu de “Il Serpente Nel Cielo”: misterica, inquieta, atonale. Non si tratta di una semplice vicinanza umorale e stilistica, giacché le sessioni di improvvisazione sono le stesse e medesimo è anche il power trio all’opera (OmegaMatt a chitarra, sax, organo ed elettronica, OmegaG8 a basso ed elettronica, OmegaFranky dietro le pelli). È proprio questa, per certi versi, la versione della Squadra Omega che prediligo: incosciente, completamente libera, lanciata a briglia sciolta. Improvvisazione in fieri, sperimentazione non concettuale. Il risultato finale è il riflesso perfetto di quest’attitudine.

Che le possibilità espressive dei Nostri siano infinite quanto le vie di qualcun altro di illustre lo dimostra l’illuminato break funk che, a 13:18, spezza la reni all’angosciante rimestare di synth orrorifici e piatti in sospensione della sezione centrale di “Nervoso I”. Non si regge in piedi nemmeno due minuti, naturalmente, ed è comunque un funk distonico, puntuto, un figlio deforme del chitarrismo irregolare di Scofield e McLaughlin spappolato in mortifere spire free jazz. La discontinuità con quanto lo precede (un claudicante, dodecafonico caracollare jazz rock per accordi dissonanti e suggestioni psichedeliche) è così vistosa da renderlo, per forza di cose, momento centrale nell’economia del disco. L’attacco di “Nervoso II” (crittogrammi di organetto che scivolano su di una sezione ritmica in dissesto) rispolvera nuovamente certe fascinazioni di catalogo (in primis, l’Egisto Macchi de “I Futuribili”), ma non è che un gancio accattivante, un’illusoria fata morgana: tutto attorno è desolazione post-industriale, astratte vampe hard rock, un Derek Bailey trasfigurato dal fuzz e illividito dai colpi del drum kit. La conclusione è circolare e del tutto coerente con la conduzione generale: un flusso di coscienza strumentale che si infrange, ex abrupto, su un persistente bordone di organetto.

Sparse note numerologiche in calce. Dall’intervista rilasciataci un paio di anni fa, già sapevamo che la tripletta del 2015 era destinata ad allargarsi (almeno) a sei elementi. Di questi, il quarto capitolo, qualcosa sulla falsariga de “Le Nozze Chimiche”, non ha ancora trovato una sua distribuzione: quinto e sesto sono venuti alla luce. C’è in ballo anche una fantomatica session con non meglio specificato “gruppo contemporaneo”: si tenderà verso l’ambiguità diabolica o la perfezione divina?

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