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R Recensione

7/10

Elephant9

Psychedelic Backfire I / Psychedelic Backfire II

A differenza di molti altri non ho mai subito il fascino degli Elephant9, accolita di iperattivi e straordinari musicisti che, tuttavia, della multiforme e variegata scena prog scandinava rappresenta l’ala più virtuosistica ed appariscente (gli ELP della loro generazione? Sicuramente eccessivo, ma un fondo di verità c’è). In altri e più concisi termini: tutto ciò che del prog, specie di quello che vuole dirsi e farsi contemporaneo, non amo. È proprio in virtù di questo che, per supergruppi del genere, la prova del live è un’arma a doppio taglio: se, da un lato, tutto ciò che di accademico e preimpostato nelle registrazioni in studio può rivelarsi nella pienezza della propria esplosività, dall’altro l’adattare il palco a vetrina solipsistica autocelebrativa rischia di essere ben più di una tentazione. Rischio calcolato e brillantemente superato: i due volumi di “Psychedelic Backfire” (entrambi registrati durante una residency di quattro giorni in un ristorante di Oslo, il Kampen Bistro) sono, con ogni probabilità, i capitoli più interessanti della discografia degli Elephant9.

Prima ancora che la brillantezza dell’esecuzione (che a tratti raggiunge picchi di maniacale tecnicismo, come nell’incontenibile e tentacolare solo jazz-funk di Ståle Storløkken nel mezzo di “Habanera Rocket”, originariamente contenuta in “Walk The Nile” del 2010: una maratona di diciotto minuti a tratti genuinamente estenuante), di “Psychedelic Backfire I” si apprezzano una scaletta tutto sommato equilibrata e un’inedita ponderatezza nella distribuzione degli elementi. Certo, gli Elephant9 non sono i Supersilent, ma il delicato crescendo di “I Cover The Mountain Top” (da “Dodovoodoo”, 2008), un’ottima jam psichedelica frizionata dal groove all over the place del solito Torstein Lofthus, apre le danze prendendo le giuste misure. Dopo tre quarti d’ora abbondanti di affondi e svisate, tocca alla title track del citato “Dodovoodoo” far calare il sipario: un minimale tema tastieristico dalla dissonante allure crimsoniana viene stirato, amplificato in frastornanti fughe sacrali riprodotte a volumi sempre maggiori (qui Lofthus studia l’arte del caos organizzato di Balázs Pándi), rovesciato in micidiali break ritmici scofieldiani. In mezzo almeno un altro paio di riproduzioni gustose, entrambe estratte dal recentissimo “Greatest Show On Earth” (Rune Grammofon, 2018): “Farmer’s Secret” è l’omaggio settantiano più gustoso e plateale, quasi un hard rock tritonico senza chitarre, mentre “Actionpack1” – dopo un contratto avvio heavy-prog – deraglia in un dissonante galoppo fusion che del rialzo al massacro fa il proprio credo. L’ascolto è a tratti impegnativo, ma sicuramente divertente. [7/10]

Da “Psychedelic Backfire I” a “Psychedelic Backfire II”: il rosso cede il passo al blu e la formazione si allarga al tuttofare Reine Fiske, già aggiunto abituale del trio. Solo quattro pezzi, un quarto d’ora l’uno di media, e una sorpresa iniziale: la riproposizione della cover wonderiana di “You Are The Sunshine Of My Life”, inserita per la prima volta nel disco in tandem “Silver Mountain” (Rune Grammofon, 2015). Cover si fa per dire, naturalmente: l’umbratile melodia dell’originale, che viene fuori solo alla distanza (più nitida nella coda), si frammenta, riflessa da mille filtri strumentali, in un originale affresco astratto. Inclusa anche in questa tracklist, “Habanera Rocket” si depura da qualche arabesco di troppo per puntare su un cesellato sviluppo armonico minimal-prog tutto da seguire: il finale sfodera nuovamente i fuochi d’artificio, con l’interplay fra Lofthus e il bassista Nikolai Hængsle tramutato in un sanguinoso testa a testa. Il piatto forte arriva però con il medley tra “Freedom’s Children” (dal lavoro a quattro mani “Atlantis” del 2012) e “John Tinnick” (da “Walk The Nile”): inizialmente impostato su volumetriche coordinate hard-jazz, il brano scivola sinuoso fra rientranze acideliche suonate in punta di fioretto, prima di sacrificarsi in uno showoff muscolare che evidenzia tutta la versatile potenza dell’approccio di Lofthus, impressionante per fluidità e resistenza [7.5/10].

Doppio ascolto consigliato, specialmente per i più scettici.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 3 voti.
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hotstone 7,5/10
motek 7/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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hotstone (ha votato 7,5 questo disco) alle 14:14 del 6 luglio 2019 ha scritto:

Ascoltato e devo dire che si tratta di un ottimo lavoro e condivido la tua recensione . Il mio voto è 7.5

GiuliaG (ha votato 8 questo disco) alle 11:34 del 22 luglio 2019 ha scritto:

T U VDGG