The Levellers
Letters From The Undergorund
Nati per morire sulle barricate, così li definisce Elio Bussolino.
I Levellers sono sempre quelli schedati dalla polizia , che piazzano le A cerchiate nei loro sito web. Forse sono maturati ma non sarà facile dimenticarsi (e neanche lo vorrebbero) del pullman rosso-nero con cui giravano per i concerti - nessuna battuta sul Milan o giuro che vi troverò.
A dirla tutta non sono esattamente come allora e di strada sono riusciti a farne; hanno dato vita al Beautiful Festival e tornano dopo quattro anni di silenzio con la loro casa discografica, la On the fiddle (totale autonomia, come si confà ai loro eredi del ‘600). Oltretutto, rispetto a Levelling the land (1991), ritenuto il disco migliore e di certo il lavoro più noto, sono rimasti solo il cantante Mark Chadwick e il violinista Jon Selink.
Insieme a loro non è se ne è andata neanche la spontaneità con cui hanno fatto innamorare in pianta stabile 30.000 happy hitchers (così si chiamano i loro fan) e che ogni giorno attira nuovi adepti alla sette verde-anarcoide.
Rispetto ai suoni con cui avevano imparato a farsi conoscere prosegue l’ampliamento degli orizzonti musicali, che comunque non si dimentica mai di strizzare l’occhio ai classici punti di riferimento cui hanno abituato; Clash, Waterboys di primo periodo, a tratti U2 (nell’impostazione dei testi) e Billy Bragg.
Al solito l’impegno politico è in primo piano, con testi forti e affatto buonisti (già dal singolo Burn America Burn su cui molto hanno puntato) ; i ragazzi hanno fegato da vendere, e non è poco di questi tempi. Confermano di essere principalmente animali da palco, ma si può rintracciare facilmente il tentativo di trasmettere tutta l’energia che hanno voglia di trasmettere (The Cholera Well e Accidental Anarchist su tutte).
Il problema del gruppo, è proprio la musica. Piacevole, fresca e energica manca di originalità. È facile innamorarsi alla follia di questo celtic punk che non nasconde niente a nessuno, più difficile difenderne le scelte meramente artistiche.. Sanno sicuramente cos’è il ritmo e il significato di saper suonare, ma continuano a non voler osare quasi niente. È il limite più grande e, forse, un elemento fortemente caratterizzante.
L’ampliamento degli orizzonti di cui parlavo sopra non contraddice la mancanza di originalità. Quel poco di sperimentazione che c’è in questo disco è un approfondimento dei tentativi già accennati in passato di entrare in tematiche più personali e ballate meno politiche. Oltretutto non troppo riuscito (Death Loves Youth, Behold A Pale Rider sono le ballad più esemplari).
Un gruppo di nicchia che meriterebbe più di tanti altri un riscontro internazionale (lentamente, troppo, sta cominciando ad esserci).
Trovatene di gruppi capaci, nel 2008, di non finire nel circuito underground pur tenendosi stretti testi inneggianti all’anarchia libertaria, su ritmi irlandesi suonati da componenti inglesi.
È sicuramente l’album più riuscito dopo Levelling the land. I poco coraggiosi tentativi di sperimentare un impianto più intimistico non sono troppo convincenti, ci dovranno lavorare molto, ma intanto c’è un minimo di movimento.
Se vi capita di ascoltarli non scordatevi di leggere quanto cantano, ma solo in un secondo momento. Prima lasciatevi curare l’anima da una musica sincera – merce rara di questi tempi.
[Altrettanto validi anche le tre tracce del secondo cd, la più valida TV Suicides, cui si aggiunge il video Burn America Burn]
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