R Recensione

5/10

B.B. King

Deuces Wild

L’autobiografia Blues All Around Me viene pubblicata nel 1996. Nel 1997, dopo 4 anni dall’ultimo album d’inediti, viene pubblicato Deuces Wild.

Una recensione del Re del Blues, scritta nella fase conclusiva della sua carriera, si ritrova vittima di un’ambiguità persa tra il rispetto per chi ha scritto interi paragrafi di storia della musica e la capacità dello stesso di prestare il fianco a logiche commerciali, che nel lungo periodo si mostrano in tutta la loro ingenuità (qui intesa come antitesi di ciò che va sotto l’etichetta di genio creativo). Perfino quando ci si ritrova davanti ad un lavoro facilmente attaccabile permane un senso di reverenza. Davanti alle leggende la referenza non viene meno facilmente.

I nomi e le intenzioni sono ottime, sulla carta. Canzoni che hanno lasciato senza parole più di una generazione ripresentate con il contributo di nomi quali Van Morrison, David Gilmour, The Rolling Stones, Tracy Chapman e tanti altri, il cui elenco sarebbe sensato se si affrontasse un’analisi traccia per traccia. La convinzione è che tale pratica sarebbe una tortura per tutti ed un ulteriore affossamento di un disco buono soprattutto per gli affezionati al Re.

Le anime che si ritrovano tra le 17 tracce sono rappresentative di una larga parte della musica, spaziando tra rap, pop, country e rock.

Sembra di essere davanti a un esercizio di stile, pulito e contenuto, lineare e lucido. Elementi che non sempre ben si accompagnano al blues. Alcune tracce si lasciano sicuramente apprezzare, confermando l’ottima intesa tra Eric Clapton e B.B., mettendo in mostra l’italico Zucchero e regalando un rap su misura a Lucille (Heavy D). Per il resto ci sono continuamente prove misurate, quasi che la commistione fra generi fosse stata passata al vaglio con bilancini ecalcoli tecnici.

Spulciando in rete è facile constatare come la maggior parte dei giudizi siano sotto segno positivo, quasi che la magia degli album migliori fosse ai più ignota ed oscurata dalla semplice fama. I vari settori restano isolati e sembra non esserci comunicazioni fra celle in successione, ricordando le trappole di Cube, che si alternano l’una all’altra senza però travasare nient’altro che le vittime (in questo caso gli ascoltatori sono comunque più fortunati dei protagonisti del film).

Il punto è che Lucille e il "vocione" sono l’unico tratto comune al disco, mentre il resto ricalca (seppur in modo dignitoso e riuscito) gli standard medi dei partecipanti. Vi siete mai chiesti come sarebbe la voce della Chapman in The Thrill Is Gone? Mai immaginato la voce di Dionne Warwick sulle note di Hummingbird? Se uno è stuzzicato dall’avvicendamento di questi numerosi duetti, bisogna comunque ammettere che i nomi sono tutti da cartellone, per una durata che supera abbondantemente i 75 minuti. C'è di che gustarsi una cena in compagnia o una serata in tranquillità. Non è un cd pop, non è un cd di musica sperimentale, non è un disco che attraversa i vari generi trasversalmente. È qualcosa di più simile ad un’antologia a maggioranza blues, con quote riservate per ogni artista. Un ascolto leggero e piacevole, meramente estetico e affatto impegnativo.

A 4 anni dal precedente Blues Summit (1993), il tentativo è sempre lo stesso. Riunire la varia famiglia musicale, stavolta considerando anche i parenti di secondo grado. Ad un concerto del 2009, alla veneranda età di 83 anni, il Re ha ricordato a tutti la sua profonda devozione alla musica. Un genere di fedeltà che manca a moltissimi contemporanei ed è forse il patrimonio più prezioso di uno stile che è padre di moltissimi altri generi. Una fedeltà che occorre cercare anche in passaggi discutibili come Deuces Wild.

Le analisi strettamente musicali, prive di valutazioni personali, sono da rimandare a lavori più specifici. Non si brilla né ci si fa odiare da nessuno. Un disco adatto per gli intenditori, che si possono divertire a collezionare celebri collaborazioni, o per chi è del tutto nuovo alla questione.

Un disco che resta comunque adatto per essere tirato dietro a maledetti bimbetti che quando gli dici che vai ad un concerto di B.B. King si fanno brillare gli occhietti: “ah sì, quello che ha suonato con Bono”.

Lunga vita al Re del Blues.

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SamJack alle 19:40 del 6 agosto 2009 ha scritto:

...da appassionato di blues devo dire che b.b king non mi ha mai preso più di tanto....

IcnarF alle 18:38 del 24 agosto 2009 ha scritto:

Lo batte pure il cugino, Bukka White. Blues più oscuro e meno "festaiolo" di questo. Lodi sperticate comunque a B.B., per carità.

PetoMan 2.0 evolution alle 22:41 del primo marzo 2010 ha scritto:

B.B. King è un grandissimo, uno che ti piazza tre-quattro note, ma sempre quelle giuste. Questo non lo conosco, ma il suo disco migliore è il Live At The Regal, molto buono anche il Live At The Apollo