R Recensione

8/10

Willy Deville

Crow Jane Alley

Le ante si spostano cigolando. Il fumo vi avvolge insieme al denso odore di alcol ed altre sostanze non esattamente legali. La penombra lascia a malapena riconoscere i labili confini della mobilia da due soldi, tipica dei migliori film italiani sul Messico.

Chitarre spagnole e un’armonica blues rompono il frastuono iniziale, dando vita a un’armonia dall’aspro sapore melanconico, guidate da una voce inconfondibile. Siete discesi fino ad uno degli ultimi gironi dell’inferno per ascoltare la fatale sensualità di Willy DeVille e siete stati ricompensati, ritrovandovelo in piena forma a cantare di un amore perduto, con ritmi latini spezzati dalle lacrime del Mississipi.

Esistono momenti nella vita in cui ci si rassegna ad uno strano stato di scoramento, nei quali l’unica soluzione è rinchiudersi in sé stessi ed esaurire il proprio sconforto in un dolce cullarsi melanconico.  C’è chi si accontenta di soluzioni commerciali, finendo su insignificanti basi musicali e ripetute parole sempre banali. C’è chi ha la fortuna di imbattersi in DeVille, eclettico cantautore che con la sua voce sarebbe capace di sciogliere una testa dell’Isola di Pasqua. Troverete uno strano miscuglio in questo suo nono album di inediti (se si esclude la fase iniziale con i Mink DeVille), qualcosa che afferra  il cuore con una presa decisa, intenzionata a tenervi senza fiato fino al termine delle danze. Vengono catturate le venature più scure di blues, soul, rock, musica latina e R&B. La morte della moglie per molti è un evento che ha influenzato in modo marcato i colori di queste 10 tracce. Sono cose di cui si può discutere ma non hanno molta importanza. Ciò che conta è come in questo nuovo disco il latin-rock si presta a riassumere molte sfaccettatura che DeVille aveva mostrato nella sua lunga carriera. Una sorta di punto d’arrivo per quel ragazzo che durante gli anni ’70 girava il mondo anglosassone (segnato dal rock psichedelico) alla ricerca di altri musicisti che comprendessero la sua passione per Muddy Waters e John  Lee Hooker.

Alla succitata atmosfera di Cheva segue Righ There, Right Then, ballata più legata al soul e dalla minore complessità musicale, capace di sottolineare la roca voce di DeVille.  Downside Of Town recluta nacchere, fisarmonica e una chitarra dal sapore delicato, mettendo sul piatto un lieve movimento di spalle perfetto per una serata a lume di candela. Il tema dell’amore viene affrontato, seppure da angolazione differente, anche nella successiva My Forever Came Today. C’è quella dose di sentimentalismo della musica pop che senza la voce di DeVille risulterebbe insopportabile a molti. È una melodia già sentita, spesso di dubbia provenienza. Però il miracolo riesce e anche il più ritroso degli ascoltatori  è costretto a riconoscere quanto meno l’onore delle armi al cantato. Il pianoforte detta il susseguirsi della canzone, restando in primo piano anche per Crow Jane Alley. Qui però l’atmosfera cambia e sembra di essere a New Orleans, in una sala totalmente distaccata da tutto il resto. Il campo è pronto per il blues di Muddy Waters Rose Out Of The Mississippi Mud. Anche qui le regole sono quelle classiche ma l’esecuzione colpisce il segno. La gamba non riesce a fermarsi e di certo è un omaggio degno del leggendario Muddy. Si ritorna alle atmosfere latine con le nacchere di Come A Little Bit Closer, forte di un ritornello incalzante, forse la più spagnoleggiante tra le tracce. Ovviamente si tratta della cover dei Jay and the Americans.  Segue un’altra reinterpretazione: Slave For Love di Bryan Ferry. A chi non ama particolarmente il pezzo resterà la possibilità di dire “è meglio dell’originale”. Di certo uno dei passaggi più deboli del lavoro.

In chiusura un ottimo tex mex (Don’t Have A) Change Of Heart, dove si capisce che anche da completamente sbronzo DeVille riuscirebbe a cantare in modo esemplare, e l’altrettanto apprezzabile blues di Trouble Comin’ Everyday, In A World Gone Wrong, dal grande impatto emotivo.

Ad un età non più adolescenziale il mariachi più sottovalutato della sua epoca dimostra di avere ancora qualcosa da dire prima di andarsene. Dimostra che esistono ancora persone capaci di vivere la musica che suonano, indipendentemente dai venti della moda, dall’apparire secondo i modelli sociali (compresi quelli alternativi). Sigaretta in bocca, baffetti sempre perfetti è riuscito ad affacciarsi al nuovo millennio senza rendersi ridicolo.

I contributi e gli arrangiamenti di questo Crow Jane Alley sono numerosi ma perdersi ad elencarli sarebbe una sorta di tradimento allo spirito del lavoro, prodotto dal fedele John Philip Shenale. Non mi sembra il caso di dire molto di più di quanto già scritto.

Questo penultimo album studio pubblicato in vita (l’ultimo è Pistola del 2008) ricorda a tutti le potenzialità di chi ha la capacità di rispondere a sé stesso, a livello artistico almeno.

Non a caso diceva che la vita è un libro aperto. Sei tu a scriverne le pagine.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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simone coacci (ha votato 7 questo disco) alle 10:27 del 13 agosto 2009 ha scritto:

Gran bella copertina, peraltro. Piaceva ad un amico che purtroppo non è più con noi. Bravo Dmitrij.

Marco_Biasio alle 12:56 del 13 agosto 2009 ha scritto:

Poverino, l'ho saputo recentemente della sua scomparsa. Mi dispiace molto. Artista certamente da riscoprire: "Pistola" è un ottimo disco.