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R Recensione

7/10

Luca Di Maio

Letiana

Luca Di Maio, dopo l’esperienza nel progetto Insula Dulcamara, decide di apporre il proprio nome su un disco dal titolo bello e cabalistico: “Letiana”, il suo esordio solista. Prodotto da Marco Parente, “Letiana” si compone di nove brani che portano dentro il sapore del mare: non delle battigie dorate, bensì quello cimiteriale che i migranti assaggiano lungo le traversate mediterranee. Canzoni che nascono dall’esigenza di decifrare il reale, l’attuale, l’intorno; da brandelli di vita privata, dalla sua microrealtà, Di Maio tenta di raccontare il senso di vuoto che gli attanaglia la gola, come pure il desiderio di protezione, l’agognata patria di chi non ne riconosce nessun’altra all’infuori dell’umanità, della pietas. Insomma, “Letiana” è un disco sull’oggi.

Quanto finora detto non è che il tema centrale di “Migrare”, una canzone impreziosita dai violini di Alessandro Fiori, e “Sabbia”, visionaria nelle sue ondulazioni MiniBrute. Ma vi sono anche momenti pienamente letterari, in grado di creare mondi e personaggi inquietanti, come in “Kildevil”, resa ancor più impenetrabile dal theremin di Vincenzo Vasi e dal salterio di Sergio Salvi. Luca Di Maio utilizza un linguaggio stringato ma non per questo scevro da ermetismi; è rude e preciso quando canta: «Ce l’hai scritto in faccia / che sei una stronza / come tua madre e come la mia» (“La normalità”), ma appare decisamente imperscrutabile allorché scrive: «Ma ora che mi sono fermato, / ora che aspetto un turno migliore / nascosto in una grotta / per non farmi mangiare dal tempo» (“La bestia dalle gote rosse”). E se il Di Maio è oggi un vero cantautore lo deve anche a coloro che l’hanno influenzato, come sempre accade nella musica: nella “Canzona per il mio piccolo cuoro” torna alla mente Cesare Basile; in “Impalcature” emergono i temi sociali dei cantautori impegnati; in “Letiana” compare il Vinicio Capossela della maturità. Inutile dire che Marco Parente aleggia un po’ ovunque, discretamente, sommessamente, nella veste di mecenate per questo nuovo artista del Belpaese.

L’ultimo brano ha a mio avviso un significato tutto speciale. Forse “Buonanotte Irene” è dedicata a una figlia – forse proprio la sua – in cui Di Maio, con infantile dolcezza e coscienza serena, accetta la propria mediocrità di essere umano, lontano dalle vette del pensiero (nel brano cita Lutero, Marx, Dante), e intuisce di essere egli stesso in cerca d’una patria che non sia mera geografia. Ecco, “Letiana” rappresenta la patria di chi patria non ha.

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