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8/10

Orchestra Multietnica di Arezzo

Culture contro la paura

L’Orchestra Multietnica di Arezzo è un ensemble composto da oltre trenta musicisti provenienti da dodici nazioni diverse, il cui intento è la contaminazione delle culture di provenienza, creando una world music che diventa linguaggio universale. Ma questo lavoro, con la direzione di Enrico Fink, ha uno scopo che va oltre a quello originario dell’orchestra, e lo dichiara fin dal titolo: “Culture contro la paura”. Culture al plurale, perché sono tante le culture che troviamo in questo disco, e che non hanno paura dello straniero, dell’incontro con chi è altro da noi, e che nell’incontro trovano nuova linfa. Di questo parla il disco, proponendo sedici canzoni, tra brani tradizionali e cover d’autore, riviste insieme ad alcuni dei più noti cantautori italiani (da Brunori Sas a Raiz, passando per Dente, Ginevra di Marco, Paolo Benvegnù, Shel Shapiro, Bandabardò, Cisco, Moni Ovadia, Radicanto)  e tre brani recitati da Amanda Sandrelli, Isabella Ragonese e Ottavia Piccolo.          

È evidente come tra l’orchestra e gli ospiti ci sia una sensibilità comune, sia ideale che musicale, che sfocia in alcune interpretazioni davvero intense ed emozionanti. Così avviene in “L’uomo Nero”, cantata dall’autore Brunori Sas, dove arabo e italiano si mischiano con suoni e colori diversi, in una versione meticcia di uno dei suoi brani più riusciti, una canzone che esplica nella maniera migliore il senso del disco. Altrettanto bella è “Cerchi Nell’acqua” con l’autore Paolo Benvegnù ospite alla voce, con quel verso “frantumare le distanze” che sembra scritto apposta per questo disco.

Le contaminazioni culturali affiorano anche nella storia delle canzoni popolari, a volte in maniera sorprendente e inaspettata, a dimostrazione che la cultura popolare da sempre si contamina, abbattendo frontiere e confini geografici. Un caso da manuale è qui rappresentato da “Dos Zekele Mit Koylen / Bella Ciao” (ospite alla voce Cisco Bellotti), una ballata tradizionale klezmer che si trasforma nel più famoso canto di liberazione della lotta partigiana, in un riuscito mix tra i due brani che musicalmente hanno una evidente radice comune. Una vicenda simile sembra quella del tradizionale “Tzur Mishelo (La Rosa Enflorece)” dove un testo yiddish incontra una melodia ladino spagnola (che negli anni ’60 diventerà “The Swallow Song”, cantata anche da Joan Baez): una preghiera cantata splendidamente in ebraico da Raiz e Giuseppe De Trizio dei Radicanto, uno dei brani più intensi e riusciti del disco.

La musica folk tradizionale è alla base di questo lavoro, in cui si passa dalle danze bretoni di “Au Bord De La Fontaine / Gavotte Des Montagnes”, cantata dalla sempre bravissima Ginevra Di Marco, al tango argentino “Garganta Con Arena”, brano di Cacho Castagna dedicato al cantante di tango di origini polacche Goyeneche, dal tradizionale arabo “El Bint El Shalabiya” all’ebraico di “Pitchu Li”, cantata da Moni Ovadia con la consueta intensità.

Ma tutto il disco è impreziosito di piccoli gioielli, dove la musica popolare delle più diverse provenienze incontra la canzone d’autore italiana. Così “È La Pioggia Che Va”, cantata da Shel Shapiro, diventa una ballad orchestrale colorata da suoni orientali, e “Greta Scandalo”, con Erriquez e Finaz della Bandabardò, brano già meticcio di suo nella versione originale, acquista ancora ulteriori sfumature. Le parole di Piero Ciampi rivivono con la sua “Fino All’ultimo Minuto” cantata da Paolo Benvegnù, Dente propone la sua “Vieni A Vivere” con un arrangiamento per fiati, e Alessandro Fiori riveste con arrangiamento bandistico “Porco Diaz”, ballad ironica e sarcastica sul massacro della Diaz a Bolzaneto durante il G8.

Se una canzone può davvero fare qualcosa, oltre che allietarci per qualche minuto, l’Orchestra Multietnica di Arezzo prova con questo disco ad abbattere muri e creare ponti tra le culture, cercando di contrastare quel senso di paura verso lo straniero indotto artificialmente, insegnandoci che le culture popolari sono da sempre il risultato delle contaminazioni, creando quella che oggi chiamiamo, non a caso, world music.

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