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R Recensione

6/10

Marco Parente

La Riproduzione Dei Fiori

Che Marco Parente sia uno dei cantautori più sottovalutati del panorama italiano è un dato inequivocabile. Il grosso problema di Parente è che non solo non ha sfondato il sistema dell'industria culturale e dei media italiani, ma paradossalmente non ha neppure il giusto riconoscimento dell'underground nostrano. Ci sono i cantautori che meriterebbero il grande palcoscenico ma che non avendolo almeno godono tutti gli onori del circuito indie e alternative, riveriti e portati sull'ipod come vanto di fronte agli amici ignoranti che credono davvero nella bontà stilistica di SanRemo. Facciamo i nomi? Gente come Paolo Benvegnù, Vinicio Capossela, Cesare Basile, Giorgio Canali...

Poi ci sono quelli che “sì sono bravi però insomma”, quelli che in fondo non sono riusciti ad azzeccare il disco capolavoro, o il brano di successo, che non hanno quell'alone di mistero nè quell'aura che circonda qualcosa di sacro. Insomma sono quelli bravi ma sfigati, che purtroppo non avranno mai quanto meritano. Marco Parente è uno di questi, ma è in compagnia di gente come Moltheni, Bugo, e tanti altri che magari non riusciranno nemmeno ad arrivare ad essere recensiti da una webzine. Forse il loro è il mestiere più ingrato: quello di chi resiste e tira la carretta da più di un decennio (l'esordio da solista Eppur non basta data 1997) e che ciononostante barcolla sempre stando non nel mezzo, ma un poco sotto. Altro che una vita da mediano, quasi una vita da terzino obbligato a non fluidificare, lì un po' nascosto sulla fascia, ad aspettare che ti arrivi per caso un pallone giocabile per far vedere quanto sei bravo. Ma poi il pallone non arriva mai...

E sì che Parente ha un curriculum di tutto rispetto se pensiamo che ha suonato anche nei CSI dell'epoca d'oro (Linea Gotica e Ko del Mondo). Ma chi se lo ricorda? E chi si ricorda delle mille collaborazioni con Andrea Chimenti, Cristina Donà, La Crus, Manuel Agnelli, Paolo Benvegnù, Mariposa?

La riproduzione dei fiori non cambierà purtroppo le sorti dell'artista napoletano, che dopo dischi notevoli come Trasparente e Neve Ridens arriva al settimo sigillo in maniera elegante ma non entusiasmante: a dirla tutta l'elemento più interessante del disco è la sua volontà rétro tesa a giocare con sonorità e citazionismi degli anni '70: basta sentire l'opener Il diavolaccio per riconoscere l'impronta di Lucio Dalla del periodo d'oro, riconoscibile per stile ma anche per le liriche religiose poetiche e svolazzanti ma decisamente assai profane. La prima parte de La grande vacanza rubacchia addirittura suoni e melodie ai Beatles (nonostante le accurate digressioni rock della seconda metà), mentre l'intero pianeta riconoscerebbe l'omaggio ai “diabolici” Rolling Stones ne L'omino patologico. Influssi vintage blueseggianti si trovano in Shakera bei mentre ne La riproduzione dei fiori si fanno largo reminiscenze di Lucio Battisti, specie per quel languore di fondo che caratterizza un po' tutta la produzione di Parente.

Un languore dovuto allo stile vocale dell'autore che segna in maniera inconfondibile l'atmosfera, in una maniera molto simile a quella delle composizioni di Moltheni: è questo il limite più grosso del disco e, ahimè, dell'artista stesso: quello di soffocare brillanti arrangiamenti musicali con un'invadenza vocale eccessiva, che fa scadere canzoni notevoli nella stucchevolezza, nel melenso, o molto più banalmente in una mediocrità poco incisiva. Ed è un peccato perchè i pregi di cui parlare sarebbero tanti: quella di avere una grande sensibilità per un cantautorato sensibile e spensierato, arioso e spirituale, fiabesco ed ammaliante; quella di passare senza problemi tra energiche scosse alt-rock (C'era una stessa volta), composizioni sincretistiche in grado di coniugare jazz, glitch, noise e vocal-pop (Bad man) o addirittura lanciarsi in schemi alla Radiohead (Dare avere).

Chi più ne ha più ne metta insomma, e l'eleganza la fa in ogni caso da padrona. Ma è un'eleganza che talvolta s'appiattisce troppo e diventa statica e ingombrante. Meglio sarebbe stato liberare gli puledri sonici e provare a limitare una volta tanto la pur interessante verve testuale.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
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Cas 7/10

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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REBBY alle 8:32 del 14 aprile 2011 ha scritto:

BBC&P

Basile, Benvegnù, Capossela e Parente sono tutti nati negli anni 60 (Marco il meno vecchio) e, forse è un po' triste, sembran proprio essere gli alfieri più importanti dell'attuale canzone d'autore italiana...Curioso poi che in paio di mesi escano tutti e 4 i loro album. Su questo recensito da Alessandro la penso come lui.

Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 18:43 del 20 giugno 2011 ha scritto:

E' davvero difficile, per me, capire quanto possa valere un disco del genere. Musicalmente ha degli arrangiamenti splendidi, e vorrei in questa sede sottolineare l'apporto di Alessandro "Asso" Stefana, sopraffino chitarrista già "prestato" a Capossela, Patton e tuttora attivo nei Guano Padano. C'è qualche "radioheadismo" di troppo, soprattutto nella parte finale, che viene però ben riassorbito da numeri più particolari come "Bad Man" (in cui mi sembra addirittura di risentire la canzoncina della donna-termosifone dell'Eraserhead lynchiano) e "L'omino patologico", e da una solida impalcatura piantata dritta dritta nella canzone d'autore italiana. Il problema, a mio avviso, sono i testi. Anzi: la loro totale ed indiscussa supremazia. Parente mi pare, a tratti, davvero eccessivamente verboso, e la sua ipertrofia linguistica soffoca un po' anche gli ottimi spunti del corredo strumentale. Tanta eleganza quindi, ma sarebbe servito del labor limae per riequilibrare i due aspetti. Il mio 7 è un 6,5.

Cas (ha votato 7 questo disco) alle 19:03 del 20 giugno 2011 ha scritto:

RE: eccessivamente verboso

Marco, ti quoto per filo e per segno. Ho avuto la stessa impressione. I testi di Parente andrebbero nettamente ridimensionati. Però noto delle grandi conquiste nell'arrangiamento (La grande vacanza su tutte) e nell'uso della voce (mi piace quel suo ostentare i limiti, i tremolii, gli acuti...). Condivido anche il voto, 6,5. Se la prossima volta si limassero i testi avremmo di fronte un potenziale grande album!