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R Recensione

6,5/10

Campetty

La raccolta dei singoli

In principio si chiamavano Edwood e diedero alle stampe tre dischi tra il 2004 e il 2010, tutti cantati in inglese, di cui il primo “Like a movement” risalta per l’intima brillantezza che lo fa luccicare, quasi fosse un disco post-rock dei Giardini Di Mirò. Dopo gli Edwood arrivò il progetto Intercity e arrivarono altri due dischi, stavolta in italiano, inseriti nel filone dei nuovi cantautori, da Paolo Benvegnù a Marco Parente, passando per Cristina Donà e Cesare Basile.

Oggi, Fabio e Michele Campetti hanno scelto una nuova ragione sociale, cambiando semplicemente la finale del proprio cognome, per ripartire da zero non dimenticando il passato, per costruire nuove canzoni sull’esperienza di quelle già scritte, per trovare il successo che credono di meritare. Il primo Campetti canta e suona la chitarra, il secondo si occupa della parte elettronica e, con l’ausilio di Paolo Mellory Comini al basso e Gian Nicola Maccarinelli alle batterie (qui e là c’è pure il trombone del maestro Pietro Leali), i Campetty presentano “La raccolta dei singoli”, che in realtà raccolta non è, bensì un album a se stante, contenente dodici inediti della premiata ditta gardesana che parlano di musica e di luoghi dell’anima, di paesaggi sconditi e amori naufragati.

Per farsi un’idea della poesia campettiana basta leggere il testo de “L’intro”: «Buongiorno musica, / un giorno elettrica, / un giorno un po’ puttana, / un giorno matematica. / Ho poco tempo, sai, / nonostante l’ozio, / sì, davvero è un vizio / sputare nell’aria. / S’inaugura il negozio, / t’incontro qui per caso, / come fosse un fosso / ci salto dentro. / Io prego Allah se vuoi / che mi faccia cattivo / come un rottame di auto, / di detrito e di mediocrità. / Francamente si fotta / la bellezza e la moda, / la tua faccia da figa». Lo stile musicale dei Campetty è molto melodico, a volte rabbioso, altre melanconico; ma in tutte le canzoni è riscontrabile una spiccata sensibilità verso i fatti del cuore, anche se spesso la scrittura si fa indecifrabile e affascinante, misteriosamente poetica, piena di citazioni autorali. Molto apprezzabili sono: “Nuoto dorsale”, ballata di amore criminoso per una donna evidentemente troppo pretenziosa; “The muffa forest”, brano stralunato con citazione finale di “Vado al massimo” del Blasco nazionale; “Brasilia”, ancora una ballata d’amore ironicamente situata tra il Vasco di “Ti prendo e ti porto via” e il Battiato de “L’era del cinghiale bianco”; “Cowboy blues”, furiosa ballad con chitarre infuocate e affascinanti giochi di wurlitzer. Il disco va a concludersi con “L’outro” e le probabili citazioni di “No time no space” di Franco Battiato e “A day in the life” dei Beatles.

Il percorso intrapreso dai Campetty è piuttosto strambo. Hanno cominciato quasi dieci or sono con un post-rock melodioso per giungere oggi ad una forma-canzone molto vicina a quella dei nostri più quotati cantautori. È possibile che durante il cammino i fratelli Campetti abbiano perso qualcosa in originalità per guadagnarne qualcun’altra in termini di estensione di pubblico. “La raccolta dei singoli” suona bene, è piacevole, ma “Like a movement” resta indiscutibilmente il miglior disco della loro discografia.

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