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R Recensione

7,5/10

Cesare Basile

Cesare Basile

Che Cesare Basile fosse uno dei più interessanti cantautori italiani lo sapevamo da tempo, e il disco in questione ne è l’ennesima conferma. Un disco coraggioso, nato dal suo ritorno in Sicilia dopo sette anni di vita milanese. Un ritorno che lo ha visto impegnato in prima fila nella rinascita della cultura isolana, con l’Arsenale (Federazione siciliana per le arti e la musica) e con la ristrutturazione del Teatro Coppola occupato di Catania. Da questo lavoro fisico nel cantiere del teatro (impastare il cemento, dare la calce ai muri, passare linee elettriche) sono nate le dieci composizioni di questo album omonimo (l’ottavo della sua carriera), in cui non a caso le tematiche del lavoro e della libertà, e della libertà conquistata con le proprie mani, sono ben presenti.

Il disco si apre con una vera e propria dichiarazione di intenti, Introduzione e sfida, in cui dopo un breve intro strumentale parte una sorta di blues mediterraneo acustico, situato tra la tradizione popolare italiana ed il folk americano delle radici, cantato in siciliano con una voce che graffia l’anima, dove Basile annuncia di cosa si canterà nel disco (Vinni a cantari e cantaturi sugnu, d'amuri, gilusia, spartenza e sdegnu). La voce di Basile si fa storia quando canta in siciliano, come in Canzuni addinucchiata, dove, dopo un intro splendidamente caveiano, ci racconta dello sfruttamento di una donna, sul lavoro come nella vita, una donna costretta in ginocchio per tuta la vita, o come in Maliritta carni, voce e chitarra, per il racconto dello sfruttamento del lavoro, dove la carne maledetta del titolo è quella dei lavoratori di giornata di una volta, e oggi dei migranti stagionali, che brucia sotto il sole. Dal caporalato del secolo scorso ai migranti di oggi, come se nulla fosse cambiato, un mondo dove ci sono sempre i ricchi pronti a sfruttare i poveri, e accusarli se rubano i loro scarti. Un paese, il nostro, che da questo punto di vista sembra rimasto fermo all’ottocento. Nunzio e la libertà, cantata in italiano e siciliano, è un canto di libertà, dalla parte di chi la libertà l’ha conquistata col sangue (Generale che porti i colori di questa bandiera, perché chiami canaglie i villani che l'hanno cucita), una ballata classica ma resa deviante e disturbata da un arrangiamento con suoni che spiazzano, a contrappuntare il giro di chitarra ed i colpi della batteria.

Ma i brani in italiano non sono da meno, anzi, qui forse si toccano i vertici del disco. Da Parangelia, dedicato alla attrice e poetessa greca Katerina Gogou, una dura e rabbiosa rivendicazione della propria libertà e dell’orgoglio di essere artisticamente liberi, a Caminanti, dove con voce quasi sussurrata e poche note di piano e chitarra, Basile ci colpisce con una intensa e lirica descrizione di quelli che i sani chiamano pazzi (appunti smarriti di altri capolavori). Per arrivare infine alla conclusiva Sotto i colpi di mezzi favori, una ballad che è poesia pura (non le vedi le schiene spezzate, sotto i colpi di mezzi favori, i signori  seduti al caffè, consumare il diritto di pochi, a marchiare le carni, con un ferro di riconoscenza, e una stretta di mano) che non può che richiamare alla mente De André per la descrizione cruda e poetica ad un tempo del nostro paese, al pari dei vertici del canzoniere deandreiano (si pensi a La domenica delle salme o Smisurata preghiera).

Testi di altissimo livello, accompagnati da una musica quasi minimale e toccante (grazie anche all’apportro di validdissimi musicisti quali Enrico Gabrielli e Rodrigo D’Erasmo tra i tanti), come l’acustica Minni spartuti, tra blues e folk, vagamente caposseliana, o vicina al blues malato de L’orvu, con i suoi suoni spiazzanti su un sottofondo di chitarra e batteria ripetitivo ed ipnotico, un brano che cresce di intensità emotiva nel suo svolgersi. Dark ballad, come Lettera di Woody Guthrie al giudice Thayer, ispirato omaggio ad un brano del grande padre dei cantautori, un testo contro la pena di morte, con una chitarra lancinante che fa sanguinare l’anima.

Un disco che racconta le vite di migranti, sfruttatti,  poveri, donne che subiscono la violenza e il maschilismo, pazzi, emarginati, in cui intento però non pare voler ergersi a difensore degli ultimi, ma il volersi schierare, dire da che parte stare, da quella degli sfruttatori o da quella di chi subisce e lotta per lilberarsi dallo sfruttamento. Cantare di queste cose, di un paese in cui i mandanti sono fatti ministri e i ministri si fanno mandanti,  è già scegliere da che parte stare, così come lasciare Milano per tornare in Sicilia  a sporcarsi le mani con la polvere e la calce del cantiere del Teatro Coppola Occupato. Cesare Basile con questo disco tocca vertici di poesia altissimi, e si conferma una delle voci più ispirate e originali della canzone d’autore italiana contemporanea.

Da non perdere la versione in doppio vinile, in cui, oltre a versioni acustiche di sette brani repertorio del cantautore siciliano, c’è una splendida cover di Maria nella bottega del falegname, dal disco La Buona Novella di Fabrizio De André.

 

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 7 voti.
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C Commenti

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Franz Bungaro (ha votato 9 questo disco) alle 18:15 del 8 febbraio 2013 ha scritto:

Un album di una bellezza disarmante. Ma intendo sul serio. Fare di tutto per non farsi notare (chiamare un album Cesare Basile quando non sei proprio il cantautore più famoso d'Italia non richiama certo immediatamente l'attenzione su di te) ma quando pero' ascolti, capisci che le cazzate non contano, conta quello che offri, e se fai musica, conta la musica. Il più bell'album dell'anno, ma poiché siamo solo all'inizio e potrebbe sembrare riduttivo, una delle cose più belle ascoltate negli ultimi anni. Bravo Giorgio, hai reso bene l'idea.

bill_carson (ha votato 8,5 questo disco) alle 14:55 del 19 febbraio 2013 ha scritto:

veramente splendido! genuino, verace, ispirato. spero non sembri una provocazione, ma questo disco è molto

meglio dell'ultimo Cave (cui lo paragono per affinità stilistica).

Lezabeth Scott alle 18:26 del 19 febbraio 2013 ha scritto:

Quest'uomo è leggenda. Il vero (forse l'unico) alt-country italiano. Vero, non derivativo, arso, ruspante, terragno.

Lezabeth Scott alle 18:33 del 19 febbraio 2013 ha scritto:

Una piccola leggenda, volevo dire.

REBBY (ha votato 6,5 questo disco) alle 8:35 del 11 giugno 2013 ha scritto:

Ci sono due tipi di canzone in questa raccolta:

1) folk siculo percussivo, erudito d'America (blues e country) e di Dischi del sole, fino alla settima , seconda esclusa; un bel disco di nicchia! (di queste Canzoni addinucchiata è la mia preferita)

2) canzone d'autore italiana contemporanea ai massimi livelli dall'ottava alla decima, più la seconda; un altro bel dischio di nicchia eheh (e qui la scelta della mia preferita è più difficile...)