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R Recensione

6/10

Le Luci Della Centrale Elettrica

Costellazioni

Di album in album diventa sempre più difficile parlare di Vasco Brondi in termini squisitamente musicali. Specie in un paese come il nostro, da almeno quarant’anni votato alla sudditanza nei confronti della “parola cantata” e in un contesto come quello attuale avversato da polemiche, discussioni (post) ideologiche e denigrazioni preventive, dove anche la scena alternativa sembra riflettere in piccolo i pochi pregi e i molti difetti del sistema-nazione, o come cavolo va di moda chiamarlo oggi. In ogni caso noi ci proveremo. Le Luci Della Centrale Elettrica è, nel bene e nel male, il progetto/personaggio inditaliano più emblematico degli ultimi anni. Da un lato è riuscito a cogliere come pochi le contraddizioni della precarietà esistenziale che ci circonda, restituendo, attraverso una chiave poetica ora intimista ora surreale, un efficace affresco dell’ultimo quinquennio di pandemica recessione. Il suo è una sorta esistenzialismo onirico e quasi “futurista”, macerie collettive e miserie personali che si accumulano solo per sgretolarsi in un fosco scenario post industriale (“di quest’epoca non resteranno neanche delle belle rovine” rivendicherà ancora in “Guerra Lampo Pop”) e le sue liriche si snodano attraverso una suggestiva cascata di associazioni che generano un cortocircuito semantico pescando parole da un linguaggio sempre più autoreferenziale e ossidato dal comune senso mediatico. Dall’altro ha contribuito a codificare una formula sonora oggi particolarmente in voga (e già un po’ usurata) e che i soliti amanti delle definizioni hanno ribattezzato “nuovo cantautorato italiano”, ossia uno stile che mescola e sintetizza in dosi differenti i cantautori più borderline e rock di fine anni '70 (Rino Gaetano, naturalmente, ma anche il primissimo Vasco, l’altro Vasco, quello più schietto, perdente e provinciale di “…Ma Che Cosa Vuoi Che Sia Una Canzone…”, Ivan Graziani, il primo Alberto Camerini e via discorrendo), rock alternativo e post punk italiano a cavallo fra '80 e '90 e testi fluviali e ritmati che possono rimandare alla lontana a certo rap più colto e d’autore.

Qualcuno giustamente, dal suo punto di vista, avrà di che eccepire (io stesso non sono mai stato un suo apologeta) ma i tre album (o due e mezzo) fin qui pubblicati da Le Luci avevano a loro modo colto nel segno, riuscendo, anche in termini di efficacia e popolarità, dove altri avevano fallito, senza scadere nella presunzione o nell’ovvietà, conservando un non so che di ruvido, impellente, genuino, a discapito di una proposta musicalmente forse un po’ ripetitiva. Ora a quasi quattro anni di distanza dal precedente e fortunato “Per Ora Noi La Chiameremo Felicità”, Vasco Brondi torna con un lavoro che vorrebbe, almeno nelle intenzioni, segnare un passaggio dalle angosce lunari degli anni Zero ad una non troppo agognata e sofferta maturità, da cantore punk a cantautore a tutto tondo, ben intenzionato a giocarsi le proprie chance anche in quota mainstream. Accompagnato dai soliti nomi eccellenti della scena italiana (da Canali a Gabrielli, da D’Erasmo agli ex Baustelle Ettore Bianconi e De Gennaro) e prodotto in prima persona insieme a Federico Dragogna dei Ministri, “Costellazioni” è il disco più classico, più vario e diversificato nelle influenze e anche quello più modellato nella produzione e meglio arrangiato eppure, a giudizio di scrive, funziona meno dei precedenti. Il taglio più pop e melodico di buona parte delle canzoni, infatti, non sempre si addice all’intonazione limitata di Brondi, le citazioni sia testuali che musicali generano una sorta di effetto bignami, mentre la cura dei suoni e le soluzioni strumentali più ricercate non sempre risollevano l’andatura un po’ piatta dei brani.

Così si va, dal parlato alla Offlaga/Massimo Volume su giro di chitarra acustico e substrato electro limaccioso di “Macbeth Nella Nebbia” al ricalco degli amati CCCP (che non ci sono più da un bel po’” e non è facile dimenticarli) delle gradevoli ma un po’ impersonali “Firmamento” e “Ti Vendi Bene”, dai contorni pop-rock un po’ ammorbiditi del singolo “I Destini Generali”, con la ritmica in levare e la chitarra scheggiata in sottofondo alla fastidiosa somiglianza con certe cantilene jovanottiane dell’insipida “Questo Scontro Tranquillo”, dall’irrinunciabile storia d’amore “diverso”, peraltro raccontata con bella sensibilità a parte la chiosa finale didascalica, dell’acustica e levigata “Le Ragazze Stanno Bene” all’ambizioso folk bandistico di “40 Km”. Anche se ad avere la meglio è l’epos cantautorale in stile anni 70 rivisitati di brani come “La Terra, L’Emilia, La Luna”, un po’ Rino Gaetano, un po’ humming da field song padana, l’alt-country gucciniano dell’elegiaca e spettrale “Un Bar Sulla Via Lattea”, gli echi di De Gregori e le citazioni caposelliane delicatamente appoggiate sul piano e gli archi di “Padre Nostro Dei Satelliti”, ancora De Gregori e Gaetano per un “Blues Del Delta Del Po” dal ritmo ferroviario e la filastrocca popolare di “Punk Sentimentale” che di punk ha meno che mai ma bisogna pur accontentarsi. Poi c’è la mia preferita, “Guerra Lampo Pop”, probabilmente la più riuscita ed equilibrata nel legare presente e passato recente di Brondi e la piacevole “I Sonic Youth” caratterizzata dall’omaggio a “Murray Street”, dalla nube di fuzz che emerge piano piano sullo sfondo e dal finale laconico e quasi struggente.

Un Brondi, insomma, che in questa (parzialmente) nuova veste non convince del tutto. In molti lo compreranno (o meglio lo ascolteranno), alcuni diranno che “il re è nudo”, altri che lo preferivano quando era effettivamente più “nudo”. Noi, più laicamente, gli auguriamo che “Costellazioni” sia soltanto un disco di transizione e non un punto d’arrivo.

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Voto degli utenti: 5,9/10 in media su 10 voti.
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ThirdEye 2,5/10
max997 7/10
Cas 5/10
Dr.Paul 5,5/10

C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 6,5 questo disco) alle 19:06 del 17 marzo 2014 ha scritto:

E' un disco troppo lungo, ma ben superiore - specialmente a livello musicale - al pessimo Per Ora... Mi sono piaciute le virate elettroniche (Ti Vendi Bene è più CCCPiana dei CCCP) ma, sui generis, la maggior cura negli arrangiamenti, il minore ermetismo nei testi e un'influenza decisamente non dissimulata di certo "rock del disgelo" italiano anni '90 me lo stanno facendo piacere. Non voto ancora, ma devo dire che non me l'aspettavo. Il Brondi di quel primo demo è morto e sepolto oramai, ma quello che suggerisce questo Costellazioni non mi pare affatto male...

target alle 21:09 del 17 marzo 2014 ha scritto:

D'accordo con Simone dall'inizio alla fine. Ci sono tante cose, troppe, ma per generosità e incertezza, e va bene. Buone prosecuzioni delle strade già battute ("Macbeth nella nebbia", "Un bar sulla via lattea", che sono tra le canzoni più belle qua dentro), nuovi tentativi poco riusciti (quelli citati da Simone, "Questo scontro tranquillo" in cima) e nuove perlustrazioni interessanti e dagli sviluppi piuttosto imprevedibili, se si pensa alle marginalità urbane da cui Brondi era partito. Ma forse anche no. Quell'Emilia e certa Romagna hanno questa vena visionaria-circense, sgangherata e stradaiola, che è secondo me la novità più bella qua: "Blues del Delta del Po", come una Spoon River di certa umanità rustica tra cenci e fuochi d'artificio, può essere l'inizio di un bel percorso. Ripartire dalla campagna, insomma. Interessante, intanto, che sia questo, certamente il più luminoso dei dischi di Brondi, a essere anche il suo album commercialmente più fortunato (secondo posto in classifica eh, dietro Pharrell Williams), forse quello che lo aprirà a nuovi pubblici e a un riconoscimento ben al di fuori del circuito indie, e forse chissà cos'altro. E' un fenomeno che, un po' come capitò ai Baustelle, ci ha messo parecchi anni per esplodere. Ora è arrivata la "surreale" esposizione. Ora è arrivato il difficile. Questo disco tiene aperte un po' tutte le possibilità. In bocca al lupo.

mendustry (ha votato 8 questo disco) alle 8:48 del 18 marzo 2014 ha scritto:

Musicalmente è più organico dei dischi precedenti ma ovviamente ha perso qualcosa in originalità e scarnezza. Infinitamente pervaso dall’etica dei CCCP, Brondi cita Battiato in diverse occasioni, dal «centro di gravità almeno momentanea» de “La Terra, l’Emilia, la luna”, sino alla «poverissima patria» de “I destini generali”. In disaccordo su "Questo scontro tranquillo", che trovo anzi geniale nel suo banale elettropop: se nei dischi precedenti Le Luci cantava lo squallore e la decadenza dei tempi moderni ed in fondo denunciava già la scomparsa della grande bellezza sorrentiniana, ora il suo stile è più canzonatorio e leggero, come se mentre il mondo si stesse sfracellando, Brondi improvvisasse, fischiettando, un girotondo. Dunque, le luci della centrale elettrica restano accese, seppur affievolite, come monito al declino ormai fattosi irreparabile. Di quest’epoca non resteranno neanche delle belle rovine. Voto 8.

hiperwlt (ha votato 6 questo disco) alle 10:32 del 26 marzo 2014 ha scritto:

Calo nella potenza evocativa dei testi e veste dei brani che appare estremamente inadeguata. Peccato davvero. Splendida ricostruzione del percorso di Brondi e analisi del disco esaustiva, Simone.

zagor alle 11:00 del 26 marzo 2014 ha scritto:

Il Bar sulla Via Lattea diventerà il nuovo Bar Mario.

Lepo alle 10:47 del 27 marzo 2014 ha scritto:

Ne ho ascoltate 2-3 e mi son parse agghiacciandi veramendeea. Non fa per me

Marco_Biasio (ha votato 6,5 questo disco) alle 16:10 del 19 aprile 2014 ha scritto:

Avevo più pregiudizi che capelli in testa prima di ascoltarlo, e sono felice di essere stato - almeno parzialmente - smentito. Come dicevo un mese fa, non è certo più il Brondi dei primi passi, ma il balzo in avanti musicale e testuale rispetto al cul de sac di PONLCF mi pare lapalissiano. A signore schifezze come Padre nostro dei satelliti e Questo scontro tranquillo si contrappongono ottimamente Macbeth nella nebbia, i C.S.I. impenitenti de I destini generali, la frenetica concisione di Firmamento, i CCCP di Ti vendi bene e la cinematicità di 40 km.

Jacopo Santoro alle 3:35 del 31 maggio 2014 ha scritto:

Vasco Brondi personaggio ampiamente sopravvalutato e privo di reale talento.

Inorridisco ancora, se ripenso a quella recente foto in cui campeggiano lui, Dario Brunori e Peppino Peveri (Dente), seduti al tavolino di un'osteria, come riproponendo il celebre scatto De Andrè-Guccini-Vecchioni. A ognuno la sua Trinità...

g.falzetta (ha votato 8,5 questo disco) alle 17:47 del 14 luglio 2014 ha scritto:

Checché se ne dica, resta il fatto che attualmente il buon Vascone è quanto di meglio ci sia sulla scena nazionale.

Marco_Biasio (ha votato 6,5 questo disco) alle 19:26 del 14 luglio 2014 ha scritto:

Paolo Saporiti l'hai mai ascoltato?

Lepo alle 21:15 del 14 luglio 2014 ha scritto:

Ma per favore!

Jacopo Santoro alle 18:45 del 15 luglio 2014 ha scritto:

Questo video dice tutta sulla sua pochezza: per ciò che dice e per ciò che suona/canta. (Siamo ancora ai giri di Sol in 4/4?!)

swansong alle 17:55 del 16 luglio 2014 ha scritto:

Detto che andrei lì di persona a tagliargli le basette con la macchinetta, a parte la voce (irritante), la chitarra (impercettibile), il testo (mah..), il look (?), se voleva convincermi, non dico ad acquistare, ma anche solo ad ascoltare il suo disco, spiacente, ha toppato in pieno...

Cas (ha votato 5 questo disco) alle 11:04 del 16 luglio 2014 ha scritto:

non ci siamo... lui rimane incastrato nel personaggio che si è creato anni fa e dal quale non riesce più ad uscire (la provincia, la provincia, la provincia... e basta!). un lavoro nel contempo pretenzioso e povero, dove ogni tentativo di sterzare verso un suono più ricco e adulto è annullato da una resa pressapochista e da una poetica arrivata al capolinea. i pezzi che funzionano di più sono quelli di ispirazione Cccp - il che è tutto dire.