Le Luci Della Centrale Elettrica
Costellazioni
Di album in album diventa sempre più difficile parlare di Vasco Brondi in termini squisitamente musicali. Specie in un paese come il nostro, da almeno quarantanni votato alla sudditanza nei confronti della parola cantata e in un contesto come quello attuale avversato da polemiche, discussioni (post) ideologiche e denigrazioni preventive, dove anche la scena alternativa sembra riflettere in piccolo i pochi pregi e i molti difetti del sistema-nazione, o come cavolo va di moda chiamarlo oggi. In ogni caso noi ci proveremo. Le Luci Della Centrale Elettrica è, nel bene e nel male, il progetto/personaggio inditaliano più emblematico degli ultimi anni. Da un lato è riuscito a cogliere come pochi le contraddizioni della precarietà esistenziale che ci circonda, restituendo, attraverso una chiave poetica ora intimista ora surreale, un efficace affresco dellultimo quinquennio di pandemica recessione. Il suo è una sorta esistenzialismo onirico e quasi futurista, macerie collettive e miserie personali che si accumulano solo per sgretolarsi in un fosco scenario post industriale (di questepoca non resteranno neanche delle belle rovine rivendicherà ancora in Guerra Lampo Pop) e le sue liriche si snodano attraverso una suggestiva cascata di associazioni che generano un cortocircuito semantico pescando parole da un linguaggio sempre più autoreferenziale e ossidato dal comune senso mediatico. Dallaltro ha contribuito a codificare una formula sonora oggi particolarmente in voga (e già un po usurata) e che i soliti amanti delle definizioni hanno ribattezzato nuovo cantautorato italiano, ossia uno stile che mescola e sintetizza in dosi differenti i cantautori più borderline e rock di fine anni '70 (Rino Gaetano, naturalmente, ma anche il primissimo Vasco, laltro Vasco, quello più schietto, perdente e provinciale di Ma Che Cosa Vuoi Che Sia Una Canzone , Ivan Graziani, il primo Alberto Camerini e via discorrendo), rock alternativo e post punk italiano a cavallo fra '80 e '90 e testi fluviali e ritmati che possono rimandare alla lontana a certo rap più colto e dautore.
Qualcuno giustamente, dal suo punto di vista, avrà di che eccepire (io stesso non sono mai stato un suo apologeta) ma i tre album (o due e mezzo) fin qui pubblicati da Le Luci avevano a loro modo colto nel segno, riuscendo, anche in termini di efficacia e popolarità, dove altri avevano fallito, senza scadere nella presunzione o nellovvietà, conservando un non so che di ruvido, impellente, genuino, a discapito di una proposta musicalmente forse un po ripetitiva. Ora a quasi quattro anni di distanza dal precedente e fortunato Per Ora Noi La Chiameremo Felicità, Vasco Brondi torna con un lavoro che vorrebbe, almeno nelle intenzioni, segnare un passaggio dalle angosce lunari degli anni Zero ad una non troppo agognata e sofferta maturità, da cantore punk a cantautore a tutto tondo, ben intenzionato a giocarsi le proprie chance anche in quota mainstream. Accompagnato dai soliti nomi eccellenti della scena italiana (da Canali a Gabrielli, da DErasmo agli ex Baustelle Ettore Bianconi e De Gennaro) e prodotto in prima persona insieme a Federico Dragogna dei Ministri, Costellazioni è il disco più classico, più vario e diversificato nelle influenze e anche quello più modellato nella produzione e meglio arrangiato eppure, a giudizio di scrive, funziona meno dei precedenti. Il taglio più pop e melodico di buona parte delle canzoni, infatti, non sempre si addice allintonazione limitata di Brondi, le citazioni sia testuali che musicali generano una sorta di effetto bignami, mentre la cura dei suoni e le soluzioni strumentali più ricercate non sempre risollevano landatura un po piatta dei brani.
Così si va, dal parlato alla Offlaga/Massimo Volume su giro di chitarra acustico e substrato electro limaccioso di Macbeth Nella Nebbia al ricalco degli amati CCCP (che non ci sono più da un bel po e non è facile dimenticarli) delle gradevoli ma un po impersonali Firmamento e Ti Vendi Bene, dai contorni pop-rock un po ammorbiditi del singolo I Destini Generali, con la ritmica in levare e la chitarra scheggiata in sottofondo alla fastidiosa somiglianza con certe cantilene jovanottiane dellinsipida Questo Scontro Tranquillo, dallirrinunciabile storia damore diverso, peraltro raccontata con bella sensibilità a parte la chiosa finale didascalica, dellacustica e levigata Le Ragazze Stanno Bene allambizioso folk bandistico di 40 Km. Anche se ad avere la meglio è lepos cantautorale in stile anni 70 rivisitati di brani come La Terra, LEmilia, La Luna, un po Rino Gaetano, un po humming da field song padana, lalt-country gucciniano dellelegiaca e spettrale Un Bar Sulla Via Lattea, gli echi di De Gregori e le citazioni caposelliane delicatamente appoggiate sul piano e gli archi di Padre Nostro Dei Satelliti, ancora De Gregori e Gaetano per un Blues Del Delta Del Po dal ritmo ferroviario e la filastrocca popolare di Punk Sentimentale che di punk ha meno che mai ma bisogna pur accontentarsi. Poi cè la mia preferita, Guerra Lampo Pop, probabilmente la più riuscita ed equilibrata nel legare presente e passato recente di Brondi e la piacevole I Sonic Youth caratterizzata dallomaggio a Murray Street, dalla nube di fuzz che emerge piano piano sullo sfondo e dal finale laconico e quasi struggente.
Un Brondi, insomma, che in questa (parzialmente) nuova veste non convince del tutto. In molti lo compreranno (o meglio lo ascolteranno), alcuni diranno che il re è nudo, altri che lo preferivano quando era effettivamente più nudo. Noi, più laicamente, gli auguriamo che Costellazioni sia soltanto un disco di transizione e non un punto darrivo.
Tweet