R Recensione

8/10

Luigi Grechi

Pastore Di Nuvole

Disquisizioni filosofiche attorno all’acqua

 

La generosità di questi primi giorni di primavera fa riecheggiare in me la voglia della natura, dei temi semplici ma essenziali della vita. Ogni anno, anno dopo anno, insieme alla natura, insieme alle gemme che schiudono, sboccia, come in un fertile rito pagano, il mio sottile amore per l’essenza del Folk. Così, quando in questi giorni apro il rubinetto, sono di nuovo capace d’innamorarmi dell’acqua, della sua identità purissima, e mi meraviglio appena qualcuno non partecipa al mio stupore.

Anche nelle peggiori latrine universitarie, fornite da nefasti acquedotti urbani, non possiamo dimenticare la poesia dell’acqua: se guardassimo attentamente, vi coglieremmo la campagna e il suo lento respiro mattutino, le nubi del cielo, i ghiacciai splendenti di sole, torrenti alpini impetuosi; berremmo con una tale copia, da trascurare, incuranti, il leggero sapore di cloro o di tubi innocenti. Ne abbiamo bisogno, ne abbiamo bisogno per levare l’odore alle nostre acriliche vite. Solo ritornando alla semplicità della chitarra e del contrabbasso, alla cristallina emozione dello strumento, possiamo lavarci le orecchie da questi tempi virtuali, possiamo, almeno per un giorno, dire addio a pro tools.

 

Vegliardo custode del Folk nostrano

 

E Luigi Grechi fa proprio questo: l’indomito paladino del Folk, vive nella libertà dell’essere semplice. Scrive canzoni che serbano ancora l’appeal del legno e delle corde, lui, viandante sui sentieri della musica, non si è mai sentito in dovere di un confronto col nuovo. Il nuovo è imposto e a lui le imposizioni non vanno. Lo ha dimostrato coi fatti, cambiando cognome e rifiutando l’appellativo di “fratello meno conosciuto di De Gregori”, producendo da sé diversi dischi e rinunciando alle imposizioni dei discografici, come ad esempio per l’auto-prodotto “Campione Senza Valore o come il venturo Ruggine (per saperne di più consiglio: www.luigigrechi.it e http://pastoredinuvole.blogspot.com ).

E, poi, cos’è “nuovo”? Una risposta Grechi ce l’ha. Dal cuore dell’Umbria, nel 2003, nasce Pastore Di Nuvole, un disco di pregiata fattura, un’opera del Country-Folk italiano, che re-inventa e re-interpreta continuamente la scuola tradizionale, e perfino la irride e se ne beffa (come nell’incipit del disco: “Eccolo lo stronzo..”).

"Pastore di Nuvole" è anche questo, un viaggio nella saggezza e nel disincanto, nel sostituire l'irrealtà dei miti con la verità dei sentimenti. Una carovana di storie, volti e personaggi, on the road alla ricerca della vera essenza della musica; essenza che, nelle canzoni del Grechi, coincide straordinariamente con la stessa essenza della vita. Una ricerca svolta tra taverne e contadi, tra colline e interminabili pianure; nel moto, ma anche nella lentezza di un tramonto; appoggiati al tronco d’un faggio a spiare la sera che scende e che, nel segreto, si vorrebbe tenere per sé.

Questa è la storia di Luigi Grechi da quarant’anni a questa parte, da quando, bibliotecario infatuato dei classici letterari della generazione Beat, divulgava per le strade di Roma la canzone politica di Woodie Guthrie. Quarant’anni di onorata carriera e di incostante produzione discografica, anzi, “Artistica”, segnata dai tempi capricciosi dell’ispirazione, addomesticata solo all’urgenza di voler comunicare qualcosa.

 

Un disco d’autore in parsimonia di mezzi

Come le tematiche e i suoi stilemi, questo disco è realizzato dal Grechi con l’aiuto di poche e sapienti mani fidate, è levigato con quella fragranza e frugalità che sono un artigiano campestre poteva saper cogliere. Parsimonia e sobrietà sono le note che caratterizzano le voci, il suono ruvido, il calore della registrazione affiatata, il misurato arrangiamento di Guido Guglielminetti.

La varietà dei temi è notevole e di una certa rilevanza, solo l’incipit del disco (il già citato “Eccolo lo stronzo..”) è una sarcastica autocritica alla carovana del Country, con tutti i suoi fronzoli, le sue cintole, le camice sgargianti e i suoi stivali. Dopo questa canzonatoria ouverture, si svelano invece momenti di rara intensità, dove il Grechi, dà prova della caparbietà nel miscelare la tradizione cantautoriale italiana con i registri Country Folk. Ne è bella testimonianza “Il fuoco e la danza”, secondo brano dalle atmosfere rarefatte - forse il migliore del disco assieme alla conclusiva “Pastore di nuvole” –, passo che orna di sacralità il tema delle radici e rinsalda l’arcano legame con la terra e la natura generatrice. “Le vespe” invece è canzone dall’intimità biografica, canzone che si meraviglia dei piccoli avvenimenti della quotidianità di un artista girovago. L’etica del vagabondo uomo della strada (che ritroveremo anche ne “Gli stivali e la tequila”), che si guarda nelle tasche e si interroga sul suo futuro senza perdere la speranza, strimpellando un paio di accordi e bevendoci su un bicchiere di Whisky, qui raggiunge la composta freschezza di un acquerello artistico. È un invito a riconsiderare il piccolo, il quotidiano ed il concreto, il significato della vita. Come in Saba, nelle canzoni di Luigi Grechi, i toni sono intrisi di una saggezza antica, i paragoni con il mondo della natura (già presenti ne “Il fuoco e la danza” ) non hanno assolutamente nulla di ironico, ma sono ispirati da un amore ed un senso francescano che assimila la vita umana alle semplici creature della natura. Anche in “Diggeridoo” si racconta di un amore germinale, che prende le mosse da una terra vergine e fertile.

Ma che vuoi da me?” è un tributo alla Musica; e di nuovo esplode in tutta la sua sagacia l’etica stradaiola di Grechi, che riadatta questo vecchio classico del Country americano, accompagnato all’armonica dal fratello Francesco. “Al di là del confine”, riconduce al già citato tema del viaggio: viaggio materiale, viaggio culturale, viaggio spirituale si fondono nell’incontro con l’alterità, con le differenze, le discriminazioni e la morte. Discriminazione è la parola chiave di “Venti gradi sottozero”, scaltra filastrocca intarsiata di dialetto veneto, che tocca il delicato tema dell’integrazione tra culture, senza una goccia di retorica.

In conclusione, “Pastore Di Nuvole”, canzone il cui titolo regala già la poesia racchiusa nell’intero brano. L’incanto, come il mio incanto davanti all’acqua sorgiva del rubinetto, si schiude con lentezza. Sul pentagramma, un testo ricco di riflessione, riscaldato, tra gli spazi neri e bianchi, dalla chitarra e dalla fisarmonica, cresce fino ad aprire una lunga e onirica fuga strumentale. Una fuga per immagini indefinite ed evocative, un pastore che tiene a bada le nuvole come l’artista la sua poesia, un avvoltoio che malgrado la vecchiaia non ha ancora imparato a volare, la splendida intimità dell’uomo, nudo davanti a se stesso, ai suoi desideri ed ai suoi sogni.

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