R Recensione

8/10

Tom Waits

Orphans (Brawlers, Bawlers & Bastards)

In questi tempi mossi e sfatti, agitati da un economia erosiva, il disordine non è più quella fascinosa caratteristica che appartiene agli artisti, l’oblio e la solitudine non sono solo per derelitti, oggi queste fascinose ed inquiete qualità appartengono a tutti. Il Potere, scriveva Pierre Bordieu nel suo bel libro “Oggi la precarietà è per tutti” (1998), ci ha resi tutti più soli per tenerci sotto scacco, la comunità disgregata ci ha lasciati soli nella corsa per rimanere entro la società dei consumi e questa incertezza e solitudine sono la miglior spinta a farci correre senza guardare ad alternative. La comodità di averci più insicuri e soli è del resto un prerequisito per somministrarci indolenti l’omogeneo pastone del consumo, e allo stesso modo, il temibile brodino inorganico a cui s’è ridotta la musica post-moderna. L’incertezza bulimica ci riempie, ingozza, affoga nei consumi, essere negligenti, estranei, avulsi e non pensarci troppo, pare l’unico modo per non soffrirne. Di converso, l’immagine sempre più ricorrente di ampie fasce di indigenti nel mondo, di individui ridondanti ai bordi delle nostre metropoli, che non hanno alcun accesso ai requisiti minimi né al consumo, perde sempre più efficacia, viene sempre meno rilevata, indugia avviluppata in una nube d’indifferenza.

In questo mare di mestizia tocca agli Artisti (quelli con la “A ” maiuscola) riportare all’evidenza le contraddizioni del mondo, tocca all’Arte prefigurare una mai così necessaria rinascita romantica.

Orfani globali

Disordine, diseredati, bulimica, emarginati, orfani; i concetti in questa duplice premessa non sono stati, come è lecito sospettare, ricondotti su questa pagina per caso. Il lavoro di Tom Waits, non ha mai smesso di avere a che fare con questi delicati temi, né di battersi contro certe precostituite logiche. Anche quest’ultima enciclopedica opera andrebbe considerata all’interno di questa cornice di concetti e portata ad alcune considerazioni.

Critica al disordine

Nell’epoca della disarmonia, dell’istituzionalizzazione del disordine come precetto, mutano radicalmente i termini della critica intellettuale. Tom Waits in veste di raffinato portavoce delle “vite di scarto” mostra a se stesso e al mondo quale sia oggi la vera anarchia, il vero gesto eretico. Il personaggio del margine, strampalato e sempre sbronzo, questa volta, accompagnato dalle sapienti mani di Kathleen Brennan (la moglie), prende, riordina casa e pensieri, enciclopedizza i suoi registri formali e ne compone tre elenchi splendidi e immanenti. Questa opera anti-conformista, ma - e forse proprio perché – accademica, combina tre dischi che sono portatori di altrettanti stili estetici e contenutistici. Se nel primo disco, Brawlers per l’appunto, sono presenti 18 canzoni rock (o rock come intende Tom), che spaziano tra giri di Blues, Boogie Woogie, Polke accelerate fino a proporci un improbabile, Waitsiano, Elvis Presley, nel secondo Bawlers, sono contenute venti ballate romantiche dalle inattese tematiche bucoliche (sul tema Mule Variations). Waits non rinuncia a proporre un ideale fascinoso e seduttivo di bellezza. Il fascino non è più quello del randagismo urbano, non più dell’estetica bohemien, ma un nuovo armonico incontro con la natura, un primitivismo incantato, l’implicito rifiuto al fragore e al disordine che ci accadono. Il terzo disco, che titola Bastards, è una amalgama di esperimenti da bagno con profumo di spugna e borotalco, dove anche uno starnuto o una tosse allergica possono diventare germinali strumenti di creazione.

Critica all’Economia bulimica

Pare sorprendente ottenere ordine tra gli esperimenti di Waits, pare ancor più sorprendente che sia lui stesso a mettere ordine, è sconcertante – o almeno lo sarebbe per quasi ogni altro autore - il modo in cui questo progetto di riordino è stato realizzato.

Qualsiasi altro collega si sarebbe guardato bene, in questo periodo dove i tornaconti economici brillano più delle stelle (annebbiate dall’inquinamento luminoso), dal mettere sulla bancarella tre dischi di così elevata caratura in una sola volta. Molte illustri personalità avrebbero pianificato l’uscita di tre splendidi LP in 10 anni, assicurandosi una pensione di lusso tra gli allori di critica e pubblico; lui no. Il vecchio Tom Frost ha preferito spendersi in completo, dare fondo e sfogo alla sua vera - e non presunta - creatività, nel modo più naturale e incondizionato possibile. Per rendere possibile questa follia apparente, Waits ha dovuto svincolarsi, come prevedibile, da qualsiasi major discografica e rivolgersi ad un’etichetta cosiddetta “minore”: la Anti. Ecco qui l’esempio del signor Waits, mani di luna, volto di scimmia, è proprio lui a suggerirci che anche le carte più sfavorevoli possono essere mischiate, le regole più confermate essere sovvertite, le limitazioni eluse a suon di Polka, di Twist o di Jazz; ma questo non ha alcuna importanza.

Critica agli usi della povertà

Nell’epoca liquida, dell’entropia e del disordine, all’Artista tocca rimettere all’uomo i suoi debiti, rinfacciare le sue contraddizioni, ispirare un ideale romantico. Tom Waits con il suo immancabile stile e senso della sorpresa riporta ancora una volta alle nostre orecchie, in questo colossal musicale, le voci del bordo, della periferia, del confine e lo fa declinando la sua analisi dal rock, al reading letterario. Tira aria fredda e buia per i corridoi della notte e gelidi venti globali sopra i personaggi adombrati, notturni, e sbronzi di Waits. Creature effimere e notturne talora infernali, proprio a ricordarci la metafora di Zygmunt Bauman: l’altro come seducente oggetto del peccato, sfogo sociale, figura infernale, retroterra angoscioso e internalizzato dei nostri inconsci.

Barlumi di luce, reliquie e sopravvissuti

Molti suoni del bordo (Bone chain), molte impressioni delle stagioni (You Can Never Hold Back Spring), molti orfani, trovano casa in questo disco. Una ninna nanna ubriaca che ci porta sino a notte (Goodnight Irene), un hard rock d’altri tempi (2:19), notturne visioni oniriche (Sea of love), fremiti del cuore (Down there by the train).

Orphansé fatto di canzoni dure e tenere. Rumbe e sirene, tarantelle sugli insetti, madrigali sull’annegamento”, dice Waits. “Canzoni orfane impaurite e dirette, che parlano di estasi e di malinconia. Canzoni che sono cresciute in modo difficile. Canzoni di origini dubbie ritrovate dal destino crudele ed ora lasciate sole a desiderare qualcuno che si prenda cura di loro. Fate vedere che non avete paura e portatele a casa. Non mordono, hanno solo bisogno di attenzione”.

Questo losco figuro, ricurvo su un piano, pur suonando ancora vecchi tasti ingialliti, ha saputo convogliare in sé e nella sua opera ogni esperienza, ogni stagione attraversata: l’artista post-moderno si gonfia di suoni industriali, di cantiere, risuona di belle epoque, di saloon, di Polke balcaniche, neanche a dirlo di Night. Questa è un opera colossale, non dico bella o brutta, definita o indefinibile: colossale.

Non si possono aggiungere molte parole, non posso parlarvi delle tre copiose ore di musica (rara od inedita) che potete trovarvi, non posso spiegarvi come siano confluiti in questo dedalo sonoro i Ramones, Daniel Johnston, Kurt Weill & Bertolt Brecht, Leadbelly e Jack Kerouac, non posso regalare con le parole le effimere e sottili emozioni che ogni brano porta nel buio delle nostre cavità cavernose; sarebbe come descrivere i fili d’erba di un prato o, per dirla con il Maestro, come ubriacarsi con il San Bittèr.

V Voti

Voto degli utenti: 8,5/10 in media su 10 voti.
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Alfo 10/10
george 9/10

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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billythekid alle 23:15 del primo dicembre 2007 ha scritto:

Il tuo stile mi piace assai!

Roberto_Perissinotto (ha votato 9 questo disco) alle 18:47 del 22 ottobre 2008 ha scritto:

Se volete qualcosa tipo un pazzo che prima canta aggressivo poesie dei Ramones, poi accarezza con lievi ballate e infine sproloquia sinceramente, insomma se volete qulacosa con cui fottervi il cervello dolcemente, questo è il disco da avere.

george (ha votato 9 questo disco) alle 0:17 del 6 aprile 2009 ha scritto:

3 cd

Quando l'ho comprato mi volevo ammazzare!!! Pensavo che ci avrei messo 9 mesi a trovare le tre canzoni interessanti! Invece qui non c'è proprio niente da scartare!!!