Léo Ferré
La Solitudine
In Francia c’è stata un’invidiabile generazione di chansonniers che va da Charles Trenet a Gilbert Becaud, da Georges Brassens a Charles Aznavour, da Serge Gainsbourg a Boris Vian, da Christophe a Georges Moustaki. Tra questi va menzionato un monegasco che fece della poesia anarchica la propria cifra stilistica, Léo Ferré. Uomo di grande puntiglio intellettuale, voce forte e vibrante, indiscusso talento nello scrivere poesie d’amore e di violenza, noia ed anarchismo. “La Solitudine” è un disco edito per il solo pubblico italiano sulla falsa riga de “La Solitude”, uscito in Francia qualche settimana prima. Si può tranquillamente pensare a questo disco come ad un best of della produzione musicale di Ferré. Imponenti sezioni orchestrali affiancate a languidi accompagnamenti di pianoforte, un cantato spesso recitato ed una quasi assente sezione ritmica, e poi quella voce così impetuosa che alla fine di ogni verso sembra decretare un atto di vendetta, un’esplicita minaccia.
Il lato A del vinile contiene “I Pop”, “Piccina”, “Pépée” e “La Solitudine”, canzoni in bilico tra ironia e sarcasmo, con scandalose bordate di emancipazione sessuale o decadenti inni all’amore perduto: in Ferré sembra che il movimento sessantottino si estingua nel momento in cui se ne prende coscienza. Non c’è recriminazione alcuna ma una semplice e quotidiana lotta contro il potere della consuetudine, mascherata qui da potere politico. La prima facciata del disco racconta un Ferré più giovane e leggero, amante degli amplessi volanti e del buon vino, dell’amicizia fraterna e della trasparenza intellettuale. Non ci sono canzoni di particolare rilievo se non la title-track stessa, incentrata sull’importanza di «lavorare le nostre idee come se fossero dei manufatti» perché «la disperazione è una forma superiore di critica». Il nichilismo prende il sopravvento e annuncia ciò che verrà sul lato 2. È bene sapere che proprio questa canzone ispirerà nel 2010 il disco de Le Luci Della Centrale Elettrica “Per Ora Noi La Chiameremo Felicità”.
Dopo l’onirica “Niente Più” Léo Ferré decide di regalarci quattro capolavori assoluti della canzone d’autore francese. “Gli Anarchici” è il manifesto fiero e melanconico di coloro che credono possibile la via anarchica, quella più genuina che proviene da Caserio, Vaillant e Bresci; l’anarchia che mina le fondamenta del potere costituito per costruire un mondo privo di autorità, dove i popoli vivano in autonomia senza padrone, re o Dio che sia. “Il Tuo Stile” è semplicemente stupefacente, una poesia che fonde la sacralità della donna con la futilità del mondo circostante, in un caleidoscopio di sfavillanti stupidaggini che attoscano l’essenza femminile, il suo ruolo di amante perenne, di madre affascinante. “Tu Non Dici Mai Niente” è la creazione artisticamente più rilevante, con un linguaggio al limite dell’erme(neu)tica pieno di rimandi a situazioni politiche contingenti e ad uno stile di vita che s’è fatto ideologia. Il capolavoro ultimo è “Col Tempo”, amara presa di coscienza sugli anni che passano e tradiscono l’anima, ingannano i sensi e infine affogano il corpo e la mente nella solitudine della morte.
Questo è un disco impeccabile di un artista assoluto, un contenitore di idee pulite eppure troppo coraggiose per i greggi popolari; parimenti è un sussidiario sulle emozioni e le sensazioni che scuotono i cuori di fronte ad una donna, ad uno scontro con la polizia, ad una sbornia, di fronte alla vita stessa che alla fine vince sempre.
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