R Recensione

7/10

Woods

Songs of Shame

Rusticismo pastorale weird-folk e lo-fi occhieggiante al noise sono due categorie chiave per capire quanto sta accadendo sulla scena indipendente americana. Da una parte c’è la tradizione declinata il più possibile in chiave freak (Fleet Foxes, Grizzly Bear, Akron/Family, Yeasayer), dall’altra il rumore e la sporcizia a insozzare melodie sottilmente sapienti (Wavves, Vivian Girls, No Age). Dove tutto si incrocia è nel più recente disco dei Woods, che si installa sui pendii in bilico tra alt-folk e no-fi con la serenità georgica delle montagne in copertina.

La vergogna di queste canzoni sta un po’ nella voce di Jeremy Earl, tra l’eunuco e l’autoparodico, e nel suono grezzissimo delle chitarre, che nel loro effetto clean estenuato sembrano piuttosto delle falci sull’erba, salvo poi farsi sommergere da riverberi e assoli imbizzarriti nella pece del gain, diventando allora padelle sfrigolanti. “To Clean” e “The Hold”, in apertura, fanno da manifesto, sbilanciando il disco (soprattutto grazie all’andamento nonsense della seconda) verso un collage ‘60/’70 tutto da (s)fumare.

Dove prevale l’aspetto folk più classico il disco riesce comunque a distinguersi per accessibilità e capacità di colpire nell’immediato (“Number”, “Rain On”: Pavement + Guided By Voices), soprattutto in un paio di brevissime sparate sotto i due minuti che ciondolano fino a cadere in mucchi di fieno arpeggiante (“Down This Road”, “Born To Lose”, da ciocca triste). Dove invece il lato psichedelico-arty è preponderante, si stagna in acidità più grossolane (“Gypsy Hand”) o in divagazioni strumentali più sperimentali (“Echo Lake”), al limite del vagabondaggio, come nella jam di “September With Pete” che sfiora i dieci minuti mettendo in discussione (in quanto traccia 4) l’intero impianto del disco.

Ma poi vi distendete sull’erba ascoltando la tirata pacifista di “Military Madness” (da Graham Nash) e i suoi melodici fraseggi di chitarra in salsa hippie, e la vergogna passa tutta agli altri. Sempre detto che i boschi bisogna salvarli.

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 6 voti.
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viveur 6/10
REBBY 4/10

C Commenti

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fabfabfab alle 15:06 del 12 giugno 2009 ha scritto:

Questo mi manca. E' grave?

target, autore, alle 16:05 del 12 giugno 2009 ha scritto:

Dischello fresco e disimpegnato: nulla di memorabile, ma piacevole per le scampagnate coi finestrini della macchina abbassati (noi, l'aria condizionata, no).

Ivor the engine driver (ha votato 8 questo disco) alle 9:46 del 14 giugno 2009 ha scritto:

alla fine mi piace sto disco, una ventata d'aria fresca nei miei ascolti psicotici abituali. Certo fosse stato + come September With Pete sarebbe stato una bomba

Alessandro Pascale (ha votato 7 questo disco) alle 21:04 del 16 agosto 2009 ha scritto:

è tutto il giorno che scuoto la testa con gypsy hand

disco davvero gradevole e incantevole. Il 7 gli sta stretto in effetti, però l'8 è eccessivo. Insomma vabbè si è capito che si sfiora l'eccezionalità ma si rimane coi piedi per terra. Promettono molto bene però, chissà in futuro...

REBBY (ha votato 4 questo disco) alle 9:45 del 31 agosto 2009 ha scritto:

Di questo album io riesco a "salvare" solo la

cover di Nash. Il lungo strumentale September

with Pete mi ha fatto riascoltare (e questo è

stato un pregio sicuramente) The end of the

game di Peter Green, ma il risultato (del

confronto) è stato veramente impietoso. In

generale mi vien da dire che sono studenti

volenterosi, ma il cantante scimmiotta troppo

Neil Young (senza averne i mezzi) e l'ascolto

filato del disco, pur essendo breve, mi risulta

tedioso.

hokusai (ha votato 7 questo disco) alle 12:42 del 14 giugno 2010 ha scritto:

caruccio...