Mew
No More Stories Are Told Today I'm Sorry They Washed Away No More Stories The World Is Grey I'm Sorry Let's Wash Away
Le lingue sono specchi fedeli delle culture che mettono in parola: questo è un dato di fatto. E se litaliano non conosce un termine per kitsch, tanto da dover ricorrere al tedesco, un motivo ci sarà, e per trovarlo basterà pensare a certe tendenze vestiarie o gastronomiche dei popoli teutonici. I Mew sono danesi. Sono al quinto disco. E sguazzano nel kitsch, un po volontariamente un po per innata predisposizione formativa, che è cosa pericolosa assai, perché rischia di far perdere il senso del limite. Ma è dal 1997 che sfornano dischi notevoli, ormai saldi nei termini di unoriginalità vistosa, ai limiti della pacchianeria, tanto da essersi auto-etichettati come una band di pretentious art rock o addirittura come «the worlds only indie stadium band». Che, detto fra noi, sono definizioni molto calzanti, ma di cui non tutti andrebbero fieri. Qui sta la loro tipicità. Il loro geniale kitsch.
Emersi tra 90 e 00 durante un interessante exploit musicale danese (Saybia, The Raveonettes, Kashmir, Carpark North, che forse sono i più assimilabili al loro sound), i Mew sono riusciti a migliorarsi con gli anni e a diventare una sconosciuta band di richiamo internazionale. Ché il paradosso e lantitesi sono nel loro DNA, visto come cercano di coniugare estetica mainstream e impianto indie, sonorità da arena e melodie svirgolate, easy-listening ruffiano e contorti inviluppi tecnici, ingenuità sognanti e complicazioni cerebrali, restando sempre nei confini del pop. Un pop, certo, sbilenco, che alcuni prefissano con prog-, altri con power-, altri ancora con dream-, a dare lidea di un assetto musicale epico e solenne, complesso e ambizioso, in bilico tra la sperimentazione da laboratorio e linno interstellare, i Radiohead del secondo corso e il cattivo gusto dei Muse.
Ma loro sono i Mew. Che possono dare un titolo chilometrico, poesiola e formula magica, al loro nuovo disco; che possono spargere tre inutili riempitivi strumentali dando loro, invece che un titolo, una figura; che possono piazzare come prima traccia un magniloquente mantra space-pop (New Terrain) di impatto prepotente e di struttura diabolica. Il diavolo vero, dico, quello che abitava i dischi dei Beatles e dei Rolling Stones se ascoltati al contrario. E infatti se si ascolta al contrario New Terrain tenendo premuto il tasto rewind o risvoltando lmp3 con qualche programmino smanettone, si può sentire Nervous, che è unaltra canzone, con un suo testo e una sua melodia, sorta di ghost-track a specchio. E se i Mew sono riusciti a scrivere una canzone retrograda, che funziona in entrambi i sensi, è perché sono genialmente kitsch, e magari pure nerd.
Rispetto alle campate scure di And The Glass Handed Kites, No More Stories scopre vie più luminose, persino ballabili (Beach, il synth-pop di Tricks of the Trade), spesso aperte dalla voce sognante, volentieri stravolta dagli effetti, di Jonas Bjerre (efficace nel dream-pop di Silas The Magic Car). Hawai, poi, è art-rock tropicale, tra marimba e chitarre emo, come se gli Arcade Fire di Haiti fossero fusi con gli Architecture In Helsinki di Heart It Races e con (uhm) i 30 Seconds To Mars.
Ma il versante matematico dello strambo pop targato Mew piace di più, soprattutto in pezzi come Introducing Palace Players, dove lo slapping di basso e le tastiere distensive creano tensioni continue su cui la melodia cantata da Bjerre si incastra come su un quadro cubista, o come in Cartoons And Macramé Wounds, 721 di canzone che partono dalla fine, quando ritornello e strofa si sovrappongono e segnano lo zenit del pezzo, per riavvolgersi indietro in una tregua alla Duran Duran pomiciosi, e quindi, dopo un rigurgito di ritornello pomposissimo, in unintro (che però è unoutro) di mugugnii sognanti. Struttura delirante, in- e per-vertita. Sometimes Life Isnt Easy, poi, passa dal new romantic a un noise-pop dadaista con sax, per poi scoprire la dis-armonia attraverso una somma di furbe melodie, in uno zig-zag tra stili e generi a dir poco ubriacante.
Lo fanno strano, i Mew. Ancipiti, capaci di barattare inizi e fini, di invertire le direzioni, confondere studio e stadio, truccare lindie, farsi Gioconda e mettersi i baffi da soli, trasformare le righe orizzontali in stelle fosforescenti. Suonare kitsch, ma bene.
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