R Recensione

5/10

Avey Tare & Kria Brekkan

Pullhair Rubeye

Allora, la storia narra più o meno così: David Portner, meglio conosciuto come componente degli Animal Collective col moniker Avey Tare, e Kristin Anna Valtysdottir aka Kria Brekkan, a sua volta nota per essere stata la voce da elfo della formazione islandese Mùm, freschi freschi di matrimonio si sono chiusi nel loro appartamento di Brooklyn e, invece di consumare le loro prime notti di nozze come da tradizione, hanno preso una chitarra ed un pianoforte ed hanno iniziato le registrazioni di Pullhair Rubeye.

Il fato volle però che lo spartano due tracce con il quale stavano mixando le otto canzoni, acquistato al prezzo di un dollaro presso un garage in sgombero, ‘stranamente’ si rompesse proprio a metà dell’opera, costringendo i due sposini ad accantonare per due mesi il mixaggio del disco e a mettersi alla ricerca di un nuovo mixer con le stesse caratteristiche tecniche.

La ricerca portò via circa due mesi, trascorsi i quali i due, riprendendo in mano il lavoro in sospeso, rimasero talmente colpiti dalla bontà delle canzoni incise, che decisero di pubblicare l’album così com’era, sicuramente incoraggiati dal fatto di essere supportati dalla Paw Track, label di notevole spessore proprietà degli Animal Collective.

Date le premesse, ci si aspetterebbe un album di stampo acustico, casalingo e quasi integralista, proprio come quei disconi ‘low-fi without a cause’ che andavano di moda una decina di anni addietro, e invece.

Quando si ha a che fare con personaggi come l’animale e il folletto islandese, il rischio è quello di fare i conti senza l’oste: Pullhair Rubeye è registrato completamente al contrario!

Cioè, non i ‘soliti’ vocals in reverse nascosti sottopelle a veicolare stralci di messaggi subliminali così come abbiamo ascoltato ormai decine di volte, e neanche canzoni con parti trattate perse come virus nel corpo del disco; no, qui proprio tutto l’album scorre al contrario (e in alcuni punti anche a velocità raddoppiata) dall’inizio alla fine, dal primo secondo della prima traccia fino alla fine.

Dicono i nostri di essersi ispirati in tal senso dalla visione di ‘Inland Empire’ di David Lynch, e la sensazione di sospensione temporale e di introversione estrema è del tutto simile a quella che si respira in certi passaggi del film.

Senza girarci ulteriormente attorno: mezz’ora di miagolii liquidi, scaglie di acid folk grattugiato, suoni ultraterreni in presa diretta da un buco nero nello spazio, frequenze aliene (e alienanti) a svolazzare davanti agli occhi come batuffoli di cotone in una giornata ventosa, atmosfere placide e voci fanciullesche a macerare in acidi ambient.

Sembrano messaggi nella bottiglia spediti chissà quanto tempo fa e ormai sbiaditi e incomprensibili; quanto basta per parlare di un disco interessante.

Inutile stare ad elencare le caratteristiche della canzoni pezzo per pezzo, poiché di singoli rappresentativi non se ne trova neanche l’ombra, essendo il disco strutturato in modo da compattarsi in un unico continuum.

Vengono alla memoria certi aspetti della cosiddetta New Weird America, soprattutto gli sfaldamenti esoterici di formazioni come Excepter, ma anche, con le dovute differenze stilistiche, i voli mistici di Fursaxa; insomma anche se non sono pochi gli attimi in cui la sensazione di artefatto (e fighetto) sale pericolosamente sopra il livello di guardia, Pullhair Rubeye potrebbe esercitare un certo fascino su più di un ascoltatore.

In special modo in questo momento in cui queste sonorità, considerate roba da freak impenitenti fino a qualche anno fa, riescono a incontrare i favori di un pubblico sempre più vasto ed attento.

Ps. Ci sarebbe poi anche un’altra storia da raccontare, quella della versione re-reverse di Pullhair Rubeye che circola ampiamente sui peer-to-peer più smaliziati.

Allora saremmo qui a parlare di un album dall’estetica povera, composto da otto tracce di etereo psych-folk spesso confluente nel fingerpicking della chitarra di Portner, brillante in episodi come ‘Lay lay off, faselam’ o in una ‘Sis around the sandmill’ che sembra una cover di ‘Green grass of tunnel’ dei Mùm in chiave ‘weird’.

Un pò come successe ai tempi del famigerato ‘Zaireeka’ dei Flaming Lips: impossibile parlare oggettivamente male dell’opera in sé, ma con quello che costano i cd…

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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REBBY 6/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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ozzy(d) alle 8:36 del 16 maggio 2007 ha scritto:

uhm

credo mi terrò alla larga....

captainquentin (ha votato 9 questo disco) alle 7:50 del 22 luglio 2007 ha scritto:

re-reverse

io ho fatto il re-reverse del disco, usando un editor audio. Il risultato è un disco meraviglioso, imperdibile. Credo che i due folli personaggi desiderino proprio farti smanettare un po' su prima di usufruire del vero Pullhair Rubeye. Inoltre la traccia #7 (seasong) è ancora più "nascosta": va rallentata della metà (ovvero resamplata a 88200kHz) per tornare al suo stato naturale e per rivelarsi come il miglior pezzo del disco. Insomma tra reverse e resample ci si perde 20 minuti ma vi giuro che ne vale la pena.