Burning Hearts
Aboa Sleeping
Oh, ragazzi, oggi parliamo della Finlandia. Una nazione molto vasta e simile a un colabrodo, dove vivono per lo più zanzare e piloti di automobili. I finlandesi, visto che non si accontentano del freddo che fa nel loro paese, hanno pensato bene di costruirsi una stazione scientifica nell’Antartide, Aboa, che frequentano soltanto nella stagione estiva, quando le temperature scendono raramente sotto i meno quaranta. Contrariamente agli altri stati scandinavi, la Finlandia non abbonda di band metal e twee pop, ma ce n’è qualcuna di meritevole che varrà la pena esaminare da vicino.
Prendiamo i Burning Hearts, ad esempio, due giovanotti di nome Jessika Rapo e Henry Ojala che hanno deciso di mettere temporaneamente da parte i rispettivi progetti musicali (Le Futur Pompiste e Cats On Fire, celebrati quest’ultimi proprio qui un paio di anni or sono) per dedicarsi sotto un moniker caldo e passionale all'esplorazione di nuovi territori tra dream pop e indietronica. Nuovi mica tanto, poi, perché le sonorità di questo “Aboa Sleeping” rimandano a una vasta gamma di band che parte dai Mazzy Star meno paranoici e finisce con i Beach House, il duo di Baltimora che costituisce senz’altro il termine di paragone più vicino e calzante.
Ecco, allora, uno stuolo di armonie eleganti e soffuse, un soffice pop da interni guidato da una voce gentile e mai sopra le righe, accompagnato da chitarre poco invasive ed efficacissime nel tracciare melodie leggere come sulla sabbia. “I Lost My Colour Vision” è un delizioso quadretto di indie pop dal sapore Ottanta, con un basso alla Peter Hook che scandisce i segmenti strumentali e un testo che celebra con immagini bizzarre una visione del mondo in bianco e nero («You painted a rainbow on the wall that I built in pure anger to keep a certain distance to you»; «No colours can change my mood. I have all the rights to feel blue if that’s what I’m into»). Da riascoltare in loop nei pomeriggi casalinghi che precedono la primavera.
Le venature eighties con cui il tuttofare Ojala infarcisce i brani sono decisamente più discrete rispetto a quanto faceva nei Cats On Fire. Si tratta di decorazioni elettroniche quasi torve e di qualche beat synth-pop, come in “We Walked Among The Trees”, in cui è una chitarra acustica ad accompagnare le melodie sognanti disegnate dalla Rapo. È, con “Various Lives”, molto simile nella struttura e negli effetti, l’apice del disco (e ricorda assai un’autrice studiata nel 2006, la Jenny Wilson di “Let My Shoes Lead Me Forward”).
Il rischio della ripetitività è evitato dall’inserto di pezzi di base più schiettamente chitarristica, come “Iris”, che fa molto C86 inglese tra Ottanta e Novanta, o “A Peasant’s Dream”, che attacca quasi alla Galaxie 500 per poi intrecciare sopra rilanci aerei di tastiere gustosi ricami di voce e chitarra su tema bucolico («The agrarian reform will help us find our niche in these open fields»: roba che nemmeno i Fleet Foxes hanno osato scrivere).
La vera pecca del disco, allora, sta, oltre che in qualche brano meno azzeccato (“Close To Her”, “Aboa Sleeping”), nella sua brevità: nove canzoni sono pochine, soprattutto se tra queste si insinua uno scialbo episodio strumentale (“The Galloping Horse”). Ciò non toglie che “Aboa Sleeping” sia un disco da ripassare più volte, senza noia. Nel ritornello di “Sea Birds” si può persino fare una lezione di ornitologia, mentre la Rapo snocciola curiosi nomi di uccelli quali l’Egretta Garzetta. Da portare con Linneo per la prossima settimana.
E adesso a chi mi dice che la band finlandese più importante sono gli Him metto un meno sul registro. E gli spezzo un dito.
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