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R Recensione

6/10

Grizzly Bear

Shields

La percezione prima è ricchezza esagerata, ma a questo i Grizzly Bear ci avevano già abituati. Giunti al loro quarto album in studio, la band di Brooklyn amplifica il concetto – folk manierismo e anima indie nel profondo – ma smarrisce qualcosa per strada, qualcosa che va oltre la tecnica e la bravura: perdono l’ascolto. Perché cos’era “Veckatimest” se non l’estasi del musicato e del sentito, diletto tanto del musicista quanto dell’ascoltatore?

Ecco, in questo “Shields” i nostri Grizzly Bear non si pongono quasi mai al di là della barriera di fruizione, non si cambiano d’abito, non scendono dal palco tra la folla, rimangono comodi nelle loro vesti da musicisti – camicie a quadri, bretelle, maglieria impecorata e hipsterume vario – e si limitano a suonare divinamente. Perdono il gusto di sentirsi, rimangono a tratti schiavi delle loro alte capacità, e non scendono più a patti col pop. Qualcuno potrebbe obiettare che non sono mai venuti a contatto con un certo alleggerimento delle melodie: ed è vero, la componente barocca e perfezionista è stata trait d'union di tutti i loro lavori. Eppure dov’è che “Veckatimest” vinceva a mani basse? Proprio nel mitigare certo folklore elaborato con frammenti di quel pigro e indolente pop da camera che aleggiava tra le soffitte in polvere di “Yellow House”. Si limitano a suonare divinamente – dicevamo – proprio perché i Grizzly Bear rimangono melodicamente impeccabili: ritagli canori perfetti (il cantato chiaroscuro di “What’s Wrong”, forse la più raccolta dell’opera), partiture chitarristiche eccelse (l’indolenza fumosa di “Gun-Shy”, l’unica canzone veramente pop nella scrittura, e tra le tre migliori), preziosi controtempi ritmici (la batteria burrascosa di “Yet Again” e il suo cantato vibrante, altro momento d’oro), l’afflato spirituale che fa osmosi a piccole dosi (tutte riversate in una “Speak in Rounds” mistica e incandescente – l’altra bellissima dell’album – che riprende a poco a poco gli accordi della cara “Southern Point” che fu).

Tutte, dalla prima all’ultima, canzoni musicalmente ineccepibili; ma gonfie, per di più, come mai accaduto nella loro carriera. Giri a vuoto, infatti, ce ne sono parecchi, arpeggi ridondanti quanti ve ne pare (non ce ne vogliano “Sun In Your Eyes” e “Half Gate”, ma davvero sembrano i punti emotivamente più bassi della loro storia artistica), momenti noiosi (certo ascetismo esangue se lo potrebbe permettere solo Matt Elliott, “The Hunt” è caccia senza preda), mezze-canzoni (la stessa elettrizzante ed enfatica “Sleeping Ute”, lanciata come singolo promozionale, non convince appieno, ma per metà) e insomma un po’ di eccessiva vanità qua e là (pure la breve “Adelma”, per dire, esercizio di stile abbastanza inutile).

Un giudizio d’insieme verterebbe quindi verso il basso, se non fosse così difficile dare l’insufficienza a un gruppo tanto preparato e artisticamente maturo. Ma un po’ come gli Dei dell'antica Grecia che da lassù mangiavano cose divine, dicevano cose divine, facevano cose divine, così i Grizzly Bear, da sopra il palco, si sono persi per adesso tutto il bello dell’imperfezione e dell’irripetibilità mortale. E tutta la passione.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 24 voti.
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sfos 7/10
Noi! 7/10
Kid_Ale 9,5/10
giank 7,5/10
gull 7/10
DonJunio 7,5/10
lev 8,5/10
hiperwlt 7,5/10
salvatore 6,5/10
pieera 10/10
mavri 7/10
REBBY 8/10
antobomba 7,5/10

C Commenti

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sfos (ha votato 7 questo disco) alle 9:50 del 18 settembre 2012 ha scritto:

Invece a me è piaciuto. Ho avvertito un senso di minore coesione rispetto a Veckatimest, forse anche per via dei tempi relativamente brevi di lavorazione del disco. Ma: a livello strumentale sono diventati, se possibile, ancora più acrobatici, spingendo più decisamente su una forma canzone dalla struttura progressiva. A livello emozionale, non ho notato cali significativi: Yet Again, What's Wrong, Gun-shy, mi sciolgono come i migliori momenti di Veckatimest. Ecco, se devo fare un appunto, mancano due singoloni del calibro di Two Weeks e While You Wait For The Others. Altra cosa: hanno ridotto l'utilizzo dei cori che era una delle cose che meglio riuscivano a fare. In compenso, qua e là sorgono tastiere sci-fi molto raffinate e evocative e si distaccano definitivamente da quei modelli che tre anni fa erano assimilabili al filone pitchforkaro (anche se loro non ne hanno mai esageratamente riprodotto gli stilemi): insomma, niente folk pedante in stile Fleet Foxes, piuttosto un rock corposo con influenze jazzate (qualche incursione anche nel post-rock dei Talk Talk). Per me, quindi, promossi (con mezzo voto in meno rispetto a Veckatimest, ma siamo lì).

Kid_Ale (ha votato 9,5 questo disco) alle 19:16 del 20 settembre 2012 ha scritto:

Ho letto moltissimi pareri su questo disco che passano da dei 4 cattivissimi a dei 9 e mezzo belli sicuri. Poi ci sono molti 6, come in questo caso. Io, personalmente, lo classifico con un 9 tondo tondo: album meraviglioso, coeso come pochi, con melodie e soprattutto armonie che sentirle da un gruppo rock del 2000 è semplicemente un miracolo. Le canzoni sono uniche, dei piccoli poemi sinfonici che variano da schitarrate senza freni a leggeri e soffusi passaggi jazz\classici. C'è pop? Dove? In Yet Again? Sinceramente non mi sembra. Non capisco come sia possibile stroncare un disco del genere. Half Gate è la canzone dell'anno, se non del decennio, con quel finale che lascia spiazzati (ultimi 2 secondi, dove sembra che torni acustica, mentre svanisce nel nulla), The Hunt, dolce e sexy come poche, il duetto del ritornello di Gun-Shy vale solo l'ascolto dell'album.

I Grizzly Bear hanno cambiato stile? No, l'hanno rafforzato, l'hanno evoluto. Non si può dire che l'abbiano migliorato perché anche i precedenti album sono intoccabili (Yellow House su tutti), ma rimangono loro, unici, progressivi, melodici, "esploratori" e semplicemente freschi.

Franz Bungaro (ha votato 8 questo disco) alle 15:24 del 21 settembre 2012 ha scritto:

Ammetto di essere ai primi ascolti dell'album per intero (appena finita il secondo giro), ma davvero mi piace tanto, forse più di Veckatimest. Ripasso per il voto. Comunque grandiosi.

gull (ha votato 7 questo disco) alle 17:51 del 27 settembre 2012 ha scritto:

Si è vero, ci sono un paio di momenti minori, in cui girano a vuoto (almeno per i miei gusti). Però ci sono anche dei pezzi notevoli, compreso "half gate", una delle mie preferite. Pur senza gridare al capolavoro o al disco dell'anno, per me è un disco sostanzioso, piacevole e forse anche appiccicoso (nel senso positivo). Indeciso per il voto (e chi se ne frega direte giustamente voi )

gull (ha votato 7 questo disco) alle 9:28 del 5 ottobre 2012 ha scritto:

La parte centrale del disco è quella che mi piace meno. Il resto invece per me è molto buono. Complessivamente è un lavoro riuscito e che ho ascoltato molto.

nebraska82 (ha votato 7 questo disco) alle 11:18 del 5 ottobre 2012 ha scritto:

inferiore a veckatimest, ma e' comunque un bel disco.

lev (ha votato 8,5 questo disco) alle 21:42 del 5 ottobre 2012 ha scritto:

si, inferiore a veckatimest, ma di poco. per me è un gran disco. al contrario del recensore ho percepito cose diverse. questo mi sembra più fluido rispetto al precedente. più diretto e più appetibile, in pratica più pop. veckatimest è più ricercato. un pò più della serie "lo famo strano". almeno questa è stata la mia senzazione.

hiperwlt (ha votato 7,5 questo disco) alle 20:19 del 11 ottobre 2012 ha scritto:

Non so: anch'io percepisco un'urgenza più esposta, per sound fisico maggiormente diretto, rispetto alla produzione precedente - il ruolo di bear. Non c'è, forse è vero, una "two weeks" ("while you wait for the others", oppure) dal fascino così istantaneo (e pop), o quel coeso equilibrio di alt- folk e chamber pop (più arricchimento barocco) a tenere le fila (sì in “veckatimest”), come d’altra parte sottolinea Fil. Però, insomma: le tessiture (quelle di tastiere, e non solo) e gli incastri, le sovrapposizioni e le coloriture ritmiche, le strutture e le melodie stesse di "shields" (le sospensioni illuminanti, l’anthem ridotto tra le lacerazioni, in "yet again"; gli scintillii di "speak rounds"; la potenza e l’ipnotismo di “slepping ute”; i movimenti instabili di "sun in your eyes"; l’impasto di art pop stanco, e la cadenza tribale di bear in “gun-shy” ecc) per complessità non paiono ‘minori’, ampliando con notevole qualità la portata estetica (dal taglio scenico, visivo, non indifferente) del sound grizzly.

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 8:54 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Io non so proprio decidere se sia più bello questo o Veckatimest. Di "superflue" nella tracklist ci sono solo le più corte (Adelma e The hunt), poco più di 4 minuti in totale su 48. Dal punto di vista tecnico sembrano ancora cresciuti, dal punto di vista compositivo mi sembrano altrettanto ricercati ed originali e persino più vari nelle proposta, gli arrangiamenti poi restano una meraviglia, il loro fiore all'occhiello, e l'utilizzo delle varie voci (cori) più parco, ma non meno ficcante. Forse solo meno sorprendente, perchè uscito tre anni dopo. Insomma un gran disco, tra i migliori dell'annata appena passata.

Filippo Maradei, autore, alle 20:30 del 11 ottobre 2012 ha scritto:

Che dire, tutte analisi lucide e molto interessanti, le vostre. A me però continua a non entusiasmare. Anzi, col tempo è sceso pure di un altro po'. Peccato.

Gio Crown (ha votato 7 questo disco) alle 21:48 del 15 ottobre 2012 ha scritto:

molto piacevole all'ascolto, mai banale e accattivante anche laddove ci sono delle dissonanze. Non griderei al capolavoro ma davvero interessante anche per la vasta gamma di strumenti usati. E' il primo che ascolto di loro e devo dire che mi è venuta la voglia di ascoltare anche gli altri.

target alle 13:05 del 23 novembre 2012 ha scritto:

Niente. Questi continuano a provocarmi solo raffinatissima noia. Salvo "Yet again" e "Gun-shy".

Dr.Paul (ha votato 5 questo disco) alle 14:06 del 24 novembre 2012 ha scritto:

già bolliti?

salvatore (ha votato 6,5 questo disco) alle 14:44 del 24 novembre 2012 ha scritto:

Non so, ma il passo indietro mi sembra non indifferente. Dove, nel precedente, le invenzioni armoniche e in sede di arrangiamento abbellivano melodie sbalorditive in una serie di brani quasi perfetti, qui mascherano un'assenza notevole di ispirazione compositiva... Peccato, ma non credo che il capitolo sia chiuso...