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R Recensione

7/10

Ganglians

Monster Head Room

A colpi di bassa fedeltà, freak folk e pop psichedelico gli States stanno sfornando band in ammirevole successione. E l’esplosione sembra poter offrire ancora qualche botto degno di nota, come quello dei Ganglians, from Sacramento, da archiviare nello stesso file scampagnato di Woods e Kurt Vile, con il ricordo dei Beach Boys che interseca Fleet Foxes e Grizzly Bear. D’altronde il calderone è quello della Woodsist: un nome, un catalogo (Crystal Stilts, Vivian Girls, oltre alla prima coppia citata sopra), un programma.

Monster Head Room”, il loro debutto, convince, costruito com’è su brogliacci lo-fi in cui jam session, riff scazzati e melodie facili si alternano in un parapiglia drogato ma fondamentalmente leggero. I cori, sin dal breve attacco di “Something Should Be Said”, vengono usati, diversamente dalle tecniche più avant di Dirty Projectors e compagnia sperimentante, per aureolare di Sessanta le linee vocali portanti (sentitevi “Try To Understand”). Il folk rustico di “Lost Words” è una deliziosa effige del disco tutto, con i Dodos portati a un pic-nic in mezzo ai campi di grano.

Mentre alcuni momenti esibiscono il retrò beachboysiano con ironici ritocchi qua e là un po’ stucchevoli (“Candy Girl”), il nucleo del disco è costituito dalle cavalcate più fumose e noisy. “Valient Brave”, su tutte, con i suoi sei minuti abbondanti di chitarre scure, riff sparpagliati, intermezzi rumorosi, accenni esotici e sporcizie no-fi appare un numero di alta classe, così come “100 Years”, accostabile al garage psichedelico dei Thee Oh Sees, che supera un minuto e mezzo sottoritmo per bruciare su fraseggi muscolosi di elettrica e vocalismi allucinati.

Il disco procede a pendolo tra distese agresti un po’ ruffiane, come quella di “To June”, agghindata da steel guitar con effetti campestri insistiti (latrati, ronzii, cinguettii, gorgheggi di rospi), e angoli oscuri: “The Void” è un buio dialogo di acustica e voce, incupito a metà da un intermezzo selvaggio in cui il vuoto prende forma in urla parodiche, effetti spaziali e ritmi primitivi disturbati. Poi l’America del folk prorompe (“Cryin’ Smoke”, “Modern African Queen”), il disco finisce in gloria e se i Ganglians dichiarano che il loro è solo «semplice acid pop da ascoltare in cuffia mentre si va in giro» non resta che tornarsene a casa col sorriso stampato in faccia.

 

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Ivor the engine driver alle 12:32 del 7 luglio 2009 ha scritto:

Rimandi interessanti a band che mi piaciucchiano (soprattutto i Woods), toccherà recuperarlo.

Utente non più registrato alle 23:05 del 16 dicembre 2009 ha scritto:

segnalati anche da pitchfork mi piacerebbe recuperarli...ma non riesco a trovare il disco da nessuna parte, solo file sparsi sul web...consigli?