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R Recensione

5,5/10

Glorytellers

Current Resident

Chiamatelo professore, e non a titolo onorifico. Geoff Farina ci è arrivato davvero, dietro la cattedra. Prima al Colby College di Waterville, Maine, poi all'università dello stesso stato e a quella del Massachussetts, infine alla DePaul University di Chicago, il più grande ateneo cattolico – e privato – degli Stati Uniti. Due sono i corsi tenuti dall'ex, geniale mente dei Karate, entrambi esplicativi dei propri interessi a medio termine: uno sull'evoluzione del blues nel quarantennio tra Twenties e Sixties – i vecchi bluesmen neri, la crisi economica, Woody Guthrie, l'allinearsi e il sovrapporsi del jazz, la grande guerra, la rinascita e l'esplosione del rock'n'roll –, l'altro sul bluegrass a cavallo tra 1936 e 1972. Questo è ciò che il docente studia e suona, ormai da anni, in regolari set acustici in solo. Una lezione di filologia storica filtrata attraverso gli schemi mentali di un prodigio contemporaneo dello strumento, astro dello slowcore novantiano e personalità metamorfica in grado di reinventarsi di continuo.

Dove non riesce a supplire l'inventiva, arriva la tradizione. Il curriculum di Farina pende sempre più su questo versante, anno dopo anno. Il suono – quel suo suono, caratteristico, a tratti immaginifico – si adagia, pezzo per pezzo, sulle orme dei grandi maestri. Il progetto Glorytellers, che di favole e rapsodie era stato pensato per discorrere e prendere ispirazione, nasceva come culla di un nuovo canzoniere moderno, di ballate dolenti ed eleganti, di recenti malinconie mai sopite e vestite in taglio classico. Questo, di fatto, accadeva con l'esordio, omonimo, per poi già sfilacciarsi in molti passaggi del successore “Atone”, certo non privo di fascino, ma colpito da una certa tendenza alla schematizzazione ed allo stereotipo. Il silenzio che avvolge l'uscita di “Current Resident”, oramai datata di qualche mese, è il contenuto dell'ovattato doppiofondo in cui Farina – i cui acufeni rischiavano di trascinarlo ad una sordità precoce... – conduce, in direzione ostinata e contraria, la propria ricerca, affondando il manico di una chitarra acustica nelle pieghe della storia secolare di un genere senza tempo. Il soffuso, dinoccolato approccio jazz all'arpeggio ed all'armonia, peculiare del musicista ed inconfondibile nella sua greve leggerezza, soccombe ad una tecnica meno sofisticata e meno brillante: la decalcomania e la fedeltà al modello originario vincono sulla sfida, figlia della generazione X, di gettarsi in un dirupo senza paura dell'atterraggio.

Viene difficile definire “piacevole” un disco in cui mette mano – e voce – Geoff Farina, ma non molto di più si può aggiungere su “Current Resident” che, per costituzione, durata e argomenti, sembra addirittura capitolo spurio della stessa saga Glorytellers. Il compositore americano fa (quasi) tutto da solo, riducendo al minimo la sezione ritmica e l'intervento secondario di strumenti esterni. Otto le ballate, con il country nashvilliano di “Barely Born” interscambiabile con le tonalità liquide e cristalline di “You Ain't On Your Way To Hell”, il jive addomesticato e sognante di “New T-Shirt” (episodio chiave, di rara bellezza formale nell'alternanza di accordi di maggiore, minore, arpeggi conseguenti e loro cadenza) ed il prezioso violoncello che, su “So Long Before Her Grave”, quasi trasforma l'ecloga di partenza in un melodrammatico taglio cantautorale à la Shannon Wright. Quando le distanze aumentano, come nell'eterea “Electric Spire”, la faccenda si dimostra presto insostenibile. Non aiuta a risolvere l'impaccio la retromania incallita di “Rekindle”, folk antebellico sulla scia del grande vecchio Seeger con volteggiare di violino: passaggio impressionante, ma solo per testimonianza di ricezione storica.

Va a finire che “Current Resident”, in uniformità con il proprio creatore, assomigli molto ad un libro di testo. Utilissimo per lo studio, s'intende. Ma scarsamente interessante, se estrapolato dal proprio ambiente naturale.

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