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R Recensione

7,5/10

Ben Glover

The Emigrant

Accantonato il progetto The Orphan Brigade che lo ha visto impegnato con Neilson Hubbard e Joshua Britt, Ben Glover torna alla produzione da solista con un lavoro sorprendente. Il cantautore irlandese da alcuni anni vive a Nashville, patria della musica che evidentemente più ama, ma non dimentica le sue radici, e questo disco è un vero e proprio omaggio sia alla musica folk irlandese che alla grande canzone  americana. Ma non solo. Come evidenzia il titolo, il disco è anche il racconto della grande emigrazione irlandese verso la terra dall’altra parte dell’Atlantico, l’America del Nord. Furono oltre tre milioni gli irlandesi che emigrarono negli Stati Uniti, e questa emigrazione è raccontata da moltissime canzoni tradizionali. Ma attraverso questa emigrazione, che evidentemente Ben Glover, lui stesso oggi emigrante in America, sente molto vicina, si parla in realtà anche del concetto di emigrazione, e delle speranze e cambiamenti che si porta con se.

Il disco, quasi equamente diviso tra cover, brani tradizionali e composizioni autografe del cantautore di Glenarm (County Antrim, Irlanda del Nord), si apre con il tradizionale The Parting Glass, una classica ballad irlandese guidata da violino e chitarra, che ricorda il miglior Mike Scott con i Waterboys periodo Fisherman's Blues. Evidentemente i riferimenti di Glover sono comuni a quelli del collega scozzese, su tutti forse il grande Christy Moore, che sembra affiorare in una bella versione di un altro brano tradizionale, Moonshiner, il cui tema alcolico è un classico dell’irish folk.   

Anche le cover scelte sono molto legate al patrimonio culturale ed identitario irlandese. Tipicamente irlandese è The Auld Triangle, diventata nel tempo quasi un inno, scritta dal poeta, scrittore e attivista Brendan Behan. Glover la rivede in una bella versione lenta per voce chitarra e whistle. The Band Played Waltzing Matilda è tra tutti i classici, forse uno sei più conosciuti. Il celebre brano antimilitarista di Eric Bogle che ha visto nel tempo innumerevoli versioni (da Dylan ai Pogues), racconta un tipo diverso di emigrazione, quella dei coscritti, i ragazzi mandati a combattere al fronte durante la prima guerra mondiale, ed il loro ritorno mutilati ed invalidi. Una versione lenta, sofferta, sentita, quasi tutta sostenuta solo da voce e piano, splendida.

Ma nonostante queste bellissime versioni di grandi classici, i brani centrali del disco sono quelli scritti da Glover, su tutti la title track The Emigrant (scritta con Gretchen Peters), un lento, accompagnato dalle note del pianoforte, che descrive poeticamente la solitudine e la maledizione dell’emigrante. Per raccontare la nostalgia dell’emigrante, Ben Glover riprende dal repertorio di Ralph Mc Tell il brano From Clare To Here, in una bella versione solo voce chitarra e poche note di whistle. Ma prima della nostalgia di chi è arrivato dall’altra parte del mare, c’è la paura di chi è costretto ad affrontare quel viaggio. E’ il tema di Heart In My Hand, una ballad scritta da Glover con l’amica americana Mary Gauthier. Molto belli anche gli altri due brani originali, l’acustica A Song Of Home (scritta con Tony Kerr), in cui il piano di Dan Mitchell accompagna la splendida voce di Glover, e Dreamers, Pilgrims, Strangers quasi un intermezzo, con due frasi ripetute su una chitarra incalzante, e il violino che dipinge la melodia del ritornello. L’omaggio alla sua terra di origine arriva con il brano finale, il tradizionale The Green Glens Of Antrim, il canto di un emigrante che pensa con nostalgia alla terra che ha dovuto abbandonare, riproposto in una versione asciutta, voce e piano, con whistle e pipes nel ritornello.

Un disco davvero pregevole, in cui Glover riesce a far convivere i suoni del folk irlandese e della grande canzone d’autore americana, e con la sua splendida voce ci accompagna in un racconto epico, emotivamente intenso, ma mai retorico. Un omaggio non solo agli emigranti, ma anche alle due culture musicali irlandese e americane, e alla loro radice comune. Una nota di merito va alla Appaloosa Records, che per l’edizione italiana ha giustamente previsto la traduzione dei testi nel booklet.

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