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R Recensione

7/10

David Stackenäs

Bricks

Il mio rapporto con David Stackenäs, fino a qualche tempo fa, si esauriva nell’ambito di un misconosciuto disco inciso nel 2003 con Mats Gustafsson e intitolato, salomonicamente, “Blues”, nelle quali le straordinarie capacità tecniche e interpretative dei due strumentisti venivano messe al servizio di ostiche astrazioni impro-jazz, pantomime di pentatoniche scarnificate allo stadio terminale e destrutturate oltre ogni immaginazione. Ritrovare oggi il chitarrista svedese, otto anni dopo il precedente “Separator”, alle prese con l’installazione acustica di “Bricks” (registrata dal vivo nella chiesa protestante di Vittinge nel dicembre 2013) è una questione di discontinuità, più che di riconferme: per un tocco e una composizione del tutto riconoscibili, gli umori dei cinque movimenti vanno in direzioni finora inesplorate.

L’ascolto, da consumarsi nella sua totalità, rivela ad ogni passaggio nuovi e sorprendenti dettagli, nuove e sorprendenti sfumature. Superbo, sopra ogni cosa, è il fittissimo e frammentato puntinismo di “Plaza Hidalgo”, il cui virtuosistico andamento a scatti (Stackenäs, da navigato musicista jazz, si serve di un’ampia dotazione di tecniche, alcune delle quali da lui stesso ideate) rilegge eleganti progressioni esotiche con il glaciale distacco del serialismo integrale. Consonante è l’impostazione claudicante di “Pictor” in cui, tuttavia, la nervosa giustapposizione di note viene lasciata armonicamente irrisolta, alla maniera di un Derek Bailey (evocato esplicitamente nella contrapposizione tra pizzicati fusion e sequenze anoressiche di “Limache”). È in “Páramo”, tuttavia, che avviene il miracolo: uno studio di fisica acustica per e-bow ed oscillazioni elettriche prende, con il passare dei minuti, le sembianze e la consistenza di un lontano e mistico gamelan, una scarna apparizione in cui le corde vibrano su frequenze orchestrali. “Morioka” conclude con l’intensità di un flamenco amputato che, nella sua parte centrale, si assottiglia in rumorismi concrète degni dello Zorn di “The Book Of Heads”.

Cervello e cuore, mielina e sangue: “Bricks” è, fuori da ogni frase fatta, uno dei dischi più stimolanti dell’anno.

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