Dire Straits
Brothers in Arms
Quello dei Dire Straits è un rock schietto, pulito e senza fronzoli, venato da atmosfere blues: quando il gruppo nasce il leader Mark Knopfler ha già quasi 30 anni e non ha alcuna aspirazione né a sconvolgere il panorama musicale né a guadagnare un successo planetario. Già il nome (letteralmente terribili ristrettezze) mostra lironia e il disincanto con il quale Knopfler e soci intraprendono il loro cammino artistico.
Malgrado ciò il successo arriva, eccome: dopo lesordio con il travolgente singolo Sultans of Swing i Dire Straits sfornano due album di grande impatto come Making Movies (1980) e Love Over Gold (1982). Ma sarà con le oltre 30 milioni di copie vendute di Brothers in Arms (1985) che il gruppo britannico assurgerà a fenomeno planetario.
Ma con il successo è regola pressoché indiscutibile arrivano le critiche, e in questo caso alcune sembrano cogliere nel segno: difficile infatti poter negare che si tratti dellalbum meno omogeneo finora prodotto dai Dire Straits, meno spontaneo e diretto, meno autentico si sarebbe tentati di dire. Ascoltando i lavori di Making Movies (la straordinaria Tunnel of Love tanto per dirne una) per non parlare della leggendaria Sultans of Swing si aveva limpressione di una band capace di trasmettere energia allo stato puro, un sound potente ma mai invasivo, dotato di grande equilibro ma capace di momenti espressivi di un lirismo straordinario (vedi il pezzo sopra citato): sembrava (almeno questa è limpressione di chi scrive) che non ci fosse soluzione di continuità tra la forma e la sostanza, tra lidea e latto, come se il suonare di Knopfler e soci fosse uno spontaneo sgorgare di energia.
Non si può dire lo stesso di Brothers in Arms: il titolo sembrerebbe spianare la strada ad un concept album dai toni impegnati (e impegnativi), ma ciò riesce solo in parte. Difficile dire quale fosse il progetto originario degli autori: sta di fatto che lopera risulta nettamente divisa, ed è difficile non notarlo già dal primo ascolto.
La prima metà del disco si presenta quanto mai varia: sono praticamente tutti singoli di successo, e in qualche momento riesce veramente difficile non vedere il lato commerciale come predominante su quello artistico. Come nella celebre Walk of Life, un rock n roll che strizza locchio alla disco, o in So far away, una canzone damore dai toni pacati, orecchiabile e piacevole ma certamente non una perla della produzione dei Dire Straits. Why worry? è un delicato momento di intimità quasi sospeso nel tempo e nello spazio: potrebbe essere una ninna nanna, una canzone damore o anche un tentativo di auto-convincersi che devesserci il sole dopo la pioggia, il riso dopo il pianto, un ottimismo che suona quasi disperato considerate le ben più cupe tracce successive.
Ma il meglio di questo ipotetico lato A sta in due brani che più diversi non di potrebbe: la celeberrima Money for nothing (forse seconda per fama solo ai Sultans) con gli acuti di Sting ad introdurre un altrettanto giustamente celebre riff di chitarra distorta. Il brano si snoda con un sound vigoroso e un ritmo incalzante per otto lunghi minuti, una denuncia del consumismo e dellindustria musicale: difficile non fare dellironia, visto il successo planetario, ma le intenzioni erano senzaltro le migliori. Your Latest Trick invece si apre con un inconsueto ed evocativo dialogo di sapore jazz tra la tromba e la chitarra, per poi lasciare spazio ad un bel motivo di sax che fa da leitmotiv allintero brano: un quadro si grande evocatività, versi di grande poesia delineano un incontro, un dialogo forse solo immaginato in una notte dalle tinte sfumate e nostalgiche. Bella, senza dubbio.
Fin qui, nulla che si possa riferire ai Fratelli in armi del titolo. Ma dalla sesta traccia quelloscillare tra temi e stili della prima parte sembra stabilizzarsi, e così spunta quello che è a mio parere il capolavoro nascosto dellalbum: Ride across the river ci proietta in un mondo di suoni tribali e di atmosfere selvagge. Il quadro si materializza da solo: un gruppo di soldati immersi in quella che potrebbe essere una jungla del sud-est asiatico come una foresta dimora di Pellerossa deve lasciare il riparo degli alberi per attraversare il fiume. Una tromba suona in lontananza, come a spronare una distante carica di cavalleria, mentre sul fiume il timbro esotico dei flauti lascia presto il posto ad un inquietante silenzio rotto solo dallevocativo frinire dei grilli. Su tutto ciò la voce di Knopfler dialoga meravigliosamente con la chitarra, tamburi e percussioni etniche dipingono una guerra che non è fatta da eroi ma da uomini, al contempo carnefici e vittime (Im a soldier of freedom in the army of man).
La successiva The Mans too strong è la confessione di un presunto criminale di guerra (facile vederci uno dei soldiers of freedom della traccia precedente) che riconosce, malgrado tutti crimini e le atrocità commesse nel nome di una pace mai raggiunta, la capacità delluomo di risollevarsi da ogni catastrofe (And I can still hear his laughter, and I can still hear his song). Con One world sembra di riatterrare nel più classico sound di marchio Dire Straits con aggressivi riff di chitarra e slappate di basso. Sia per la strumentazione che per il testo appare come una Money for nothing in minore: anche qui, come in risposta al testo precedente, oggetto è la vanità, il perdersi delluomo tra mille sciocche problemi quando non si è ancora riusciti a costruire one world in armony.
Lultima traccia rappresenta il chiudersi del cerchio: si torna sul campo di battaglia, tappeti di tastiere dipingono un quadro plumbeo e minaccioso, tuoni in lontananza annunciano larrivo di una pioggia purificatrice su un mondo ferito. Ma poi ecco spuntare la voce di Knopfler, un lamento che pare una preghiera intrisa di lucida consapevolezza: in Brothers In Arms un soldato morente si rivolge unultima volta ai suoi compagni, ai suoi fratelli in armi. Lui appartiene ormai a queste montagne, ma loro torneranno alle loro case e si porteranno dietro il ricordo di quei battesimi di fuoco: che li accompagni dunque il monito del soldato morente che si fa portavoce di tutta lumana speranza, che siano grati a chi non li ha abbandonati nel pericolo più grande ma soprattutto che rechino nella mente la consapevolezza di essere tutti parte di uno stesso mondo. Di tutto ciò Knopfler si fa portavoce, e nel farlo ci consegna una delle sue prove più straordinarie: la voce dimessa, ma mai incerta o indulgente si inchina dinanzi ai lamenti di una chitarra che pare farsi umana, prima di abbandonarsi ad un lungo solo di intensità ed espressività straordinarie.
Si chiude il cerchio, come ho detto, e lascia spazio alle riflessioni: qualche episodio potremmo persino averlo lasciato per strada, se sufficientemente presi dallaccenno di concept. Ben vengano le critiche, dunque, per questo che è il disco con cui i Dire Straits salutano gli anni migliori della loro carriera: ma se si hanno ancora nelle orecchie e nel cuore le ultime note e gli ultimi versi della title-track, no, a questo Brothers In Arms non si può proprio rimanere indifferenti.
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