The Chemical Brothers
Further
In ogni caso, Further è una sorpresa positiva. Perchè stiamo parlando dei Chemical Brothers, una realtà che ha dato il suo massimo negli anni '90, quando si fece artefice del successo del big beat insieme a gruppi come Prodigy e Crystal Method. Perchè stiamo parlando di un percorso artistico che si è esteso per due decenni, con 7 album in studio e varie altre uscite. Perchè le buone idee non durano mai tanto, e lungo tutto questo tempo avevamo assistito a diversi passi falsi.
Cosa può fare un gruppo che, dopo gli ottimi risultati ottenuti con i primi lavori, si scopre senza ispirazione? Solitamente le reazioni possibili sono due. La prima, la più naturale, è tentare invano di ripetere il successo con una superflua imitazione di se stessi, che sfocia in dischi regolarmente insipidi e boriosi (ed è quello che è successo con Come With Us, del 2002). La seconda alternativa, un pelo più coraggiosa ma non per questo efficace, è cimentarsi in una improvvisata svolta in territori vergini di dubbia validità, con risultati spesso fuori fase (per maggiori dettagli, recarsi alle voci Push The Button del 2005 e soprattutto We Are The Night del 2007).
E poi? Beh, poi sarebbe anche il momento di lasciar perdere, no?
Non per forza. Talvolta capita che, dopo averne imbroccate poche negli ultimi anni, venga fuori dal cilindro un album come Further. L'ottava opera dei Chemical Brothers non è un capolavoro, ma comunque un disco sincero, onesto, che ha del carattere e merita rispetto. Il duo britannico abbandona gli esperimenti e riprende lo stile che li contraddistingue, ma stavolta l'operazione è oliata da una discreta fantasia.
Le venature di cosmic music in Snow e i synth languidi di Swoon sono bocconcini appetitosi. E c'è un certo fascino anche nelle stravaganze sognatrici di Another World o K+D+B. Il brano più godibile resta però un pezzo di classico big beat come Horse Power, una elettrizzante esplosione di energia acid che tanto ci ricorda i tempi d'oro, per questo la gemma preziosa del disco. Si apprezza meno invece il primo singolo, Escape Velocity, una maratona di 12 minuti in salsa electroclash che aggiunge poco a quanto già sentito in passato e che, sinceramente, suona un po' eccessiva. Per il resto si tratta, tutto sommato, di ordinaria amministrazione: normale electro-rock. Con qualche sfumatura freak qua e là.
Una sufficienza raggiunta oggi da chi, un tempo, era tra gli elementi più brillanti di tutto l'istituto. Considerando le recenti bocciature, c'è da esserne contenti.
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