Francesco Guccini
Via Paolo Fabbri 43
Nel 1976 Francesco Guccini è ormai un cantautore affermato sulla scena nazionale: 5 gli LP già pubblicati (più il live Opera Buffa), tra i quali spicca Radici, senza dubbio uno dei suoi lavori più noti e apprezzati con canzoni divenute leggenda da La Locomotiva a Il Vecchio E Il Bambino a Incontro. Ma siamo solo agli inizi di una carriera durata quasi cinquantanni (dico durata avendo Guccini definito LUltima Thule come la sua opera ultima, ma in molti saremmo felici di smentirlo), il cantautore emiliano ha ancora molto da dire e ce lo dimostra come meglio non potrebbe con Via Paolo Fabbri 43.
Il titolo è ispirato allindirizzo della residenza di Guccini a Bologna: ed è effettivamente una realtà domestica che traspare dalle sei tracce, una quotidianità dimessa dove tra un bicchiere di vino e una serata in osteria emergono interrogativi brucianti, fantasmi e sogni vani. A volerlo definire (premesso che definire significa in parte sempre appiattire e banalizzare), troviamo qui un Guccini certamente più esistenziale che politico, lucido cantore di una quotidianità che nasconde abissi di profondità e di introspezione.
Con lui suonano alcuni tra i musicisti storici del suo percorso artistico (Ares Tavolazzi al basso, Ellade Bandini alla batteria e Vince Tempera alle tastiere): in pressoché tutte le canzoni Guccini parte su una base semplice di chitarra acustica, che via via si arricchisce di timbri e melodie più articolate, con percussioni, archi e tastiere (inconfondibile lintervento del contrabbasso su Piccola Storia Ignobile e quello della tuba su LAvvelenata). In Via Paolo Fabbri 43 poi (lepisodio musicalmente più rilevante dellalbum) si arriva ad un vero festival di sonorità e ritmiche, con chitarre, basso, percussioni e armonica a rincorrersi e intrecciarsi sopra lincedere indolente della voce.
Ma tutto questo non è che linvolucro (seppur godibilissimo) nel quale Guccini racchiude unopera dal valore poetico e umano immenso: dolenti note di basso introducono Piccola Storia Ignobile, storia di un aborto vissuto nel contesto di un ambiente borghese ipocrita e moralista. Un tema difficile, che Guccini riesce a sviscerare mettendosi alternativamente nei panni della protagonista e della famiglia, dosando delicata compartecipazione (e così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi / davvero sola fra le mani altrui / Che pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi / di tuo padre di tua madre e anche di lui) e amaro sarcasmo (ed allora questo sbaglio è stato proprio tutto tuo / noi non siamo perseguibili per legge).
Già dopo questa prima traccia ci sarebbe molto su cui riflettere, interrogativi a cui quarantanni di storia non hanno saputo dar risposta: ma non se ne ha il tempo perché subito arrivano gli arpeggi acustici diminuiti di Canzone Di Notte N.2. Personalmente la ritengo una delle migliori composizioni di Guccini: in poche parole riesce ad esprimere sensazioni che ti toccano nel vivo, momenti che ti sembra di aver già vissuto in prima persona ma che solo ora riesci a cogliere appieno. È notte, si è smorzato leco dei brindisi felici e rimasto solo con la chitarra e con una bottiglia di vino il protagonista si abbandona alla riflessione, agli interrogativi e ai dubbi: di qui i sui pensieri si abbandonano a quei voli pindarici che lo portano a posarsi in luoghi apparentemente lontani e ad interrogarsi sul proprio posto nella società e nel mondo. Strani fantasmi e sogni vani poi la bottiglia è vuota. Bellissima.
Dopo il momento di riflessione viene lo sfogo: ed ecco che con la celebre LAvvelenata Guccini si prende il tempo per far dellironia più o meno amara su praticamente tutto ciò che lo circonda. Su se stesso, prima di tutto (io falso, io vero, io genio, io cretino, io solo qui alle quattro del mattino, langoscia e un po di vino, voglia di bestemmiare!), sul mestiere e sui colleghi cantautori (voi che siete capaci fate bene a aver le tasche piene e non solo i coglioni), sul critico Bertoncelli che di lui aveva detto ormai si vede che non ha più nulla da dire (pare tra laltro che tra i due sia poi nata una sincera amicizia). Un solo aggettivo: liberatoria.
Il lato B del vecchio LP si apre ancora nel segno dellironia, seppur con un carattere decisamente più dimesso: Via Paolo Fabbri 43 è una cavalcata di 8 minuti in cui il poeta lascia ancora dar libero corso ai suoi pensieri, stavolta allalba (un pugno in faccia verso cui tendo le braccia). Sopra un frenetico rincorrersi di basso, piano e armonica si susseguono sogni ad occhi aperti e citazioni letterarie (ancora una frecciatina ai colleghi Venditti, De Gregori e De André): si potrebbe definirla una risposta diurna alla malinconia di Canzone Di Notte N.2, una sorta di joyciano stream of consciousness dal sapore goliardico.
Tuttaltra aria si respira nella bellissima e struggente Canzone Quasi DAmore: non una semplice canzone damore, ma unamara quanto disarmante riflessione sullo scorrere del tempo, sullincomunicabilità (Non starò più a cercare parole che non trovo / per dirti cose vecchie con il vestito nuovo), sulla vita costretta come dita dei piedi in cui ci affanniamo alla continua ricerca di un passato ormai lontano, sulla noia, su una quotidianità tediosa in cui non ci resta che tentare goffi voli, dazione o di parola, volando come vola il tacchino. La voce di Guccini si muove sopra il gemere strascicato del violino, un quadro dal realismo amaro che termina con lemblematica parola grattarsi. Poco da dire, bellissima anche questa, impossibile restare indifferenti.
Ma il nostro soggiorno in via Paolo Fabbri non è ancora finito, resta lultimo, sublime, straziante squarcio di vita vissuta: Il Pensionato è un ritratto dalle tinte crepuscolari, una foto ingiallita e corrosa dal tempo e dalla polvere. Bastano pochi versi ed eccolo lì nella sua casa, tra giornali vecchi ed angoli di polvere e di odori, unesistenza scandita da un tic-tac di sveglia che enfatizza ogni secondo e trascorsa a rincorrere il tempo andato. Una presenza costante quanto evanescente dallantica cortesia, dimenticato dal mondo e destinato a divenire soltanto unimpressione che ricorderemo appena. Un riflettore puntato su quella che oggi è una condizione fin troppo comune: da brividi.
Sono passati poco più di 30 minuti, ma il nostro soggiorno in via Paolo Fabbri è stato incredibilmente denso: non cè stato neppure il tempo materiale per riflettere su tutto ciò che ci si è disvelato, e ogni canzone meriterà un nuovo ascolto, stavolta certo più consapevole, e alcuni versi si scolpiranno granitici nella nostra mente. Guccini non ha fatto la storia della musica, lui non si mette tra i geni musicali che son poeti, santi, taumaturghi e vati: ma di certo ha cambiato larte del cantautorato italiano, ha cambiato generazioni di ascoltatori e ancora oggi, a distanza di quarantanni, continua ad ampliare i nostri sguardi sul mondo e sulla vita.
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