The Trees
The Garden of Jane Delawney - On the Shore
Tobias Boshell, songwriter e cantante anglosassone, ebbe modo di far apprezzare e conoscere meglio il suo talento, all’interno della band che nel 1969 fondò: i Trees. Frontman e polistrumentista, avvalendosi di un’ottima vocalist, Celia Humphris, della lead guitar di Barry Clark, dell’italo-inglese David Costa al dulcimer e chitarra acustica e di Unwin Brown alle backing vocals e batteria, Boshell , in veste di produttore stesso ,firmò con l’etichetta CBS e nel 1970 i Trees debuttarono con “The Garden of Jane Delawney”.
Già dalla title-track, il talento compositivo di Tobias Boshell difficilmente poteva passare inosservato: brano tutto imperniato nel dialogo fra le vocals evanescenti di Celia e un gioco di struggenti chitarre acustiche, grazie anche ad assoli fiabeschi di dulcimer che paiono riportare l’atmosfera, di per sé già suggestiva, indietro di secoli, concorrono a ricreare una patina atemporale che tingono il pezzo di un’aura ancestrale. Si stenta quasi a credere che non si tratti di una song tratta dal folklore tradizionale di ogni tempo e nazione,in seguito personalizzata e riarrangiata, come appunto “The great silkie”: il timbro celtico della vocalist si snoda su un esile tappeto di percussioni e linee semi acustiche di basso e chitarra, che vireranno, nel corso del pezzo, verso uno stile decisamente prog : drums presente ma non invasiva, bass-line ripetitiva e incalzante e riffs elettrici congiunti delle due chitarre.
Un fraseggio di xilofono di sottofondo, darà quel tocco particolare a questo notissimo brano: “The great silkie”,canzone popolare tradizionale che narra la storia di un uomo, tale sulla terra, ma che si tramuta in foca una volta in acqua, è una della tante varianti, quella dei Trees, introdotta nella storia della musica. Basti pensare che i grandi Byrds, nell’album “Fifth Dimension”, ne intonarono sugli stessi accordi la commovente poesia turca di Nazim Hikmet ” I come and stand at every door”, mentre il menestrello italiano Angelo Branduardi elaborò un’ulteriore versione intitolata “La cagna”. Ovviamente ne esistono di numerose ad opera di band irlandesi e bretoni.
Altro tradizionale riarrangiato (come la maggior parte dei brani raccolti in quest’opera di debutto), “Lady Margaret”, canzone folk apparsa per la prima volta nel 1607 in una pièce teatrale di Francis Beaumont, satira del romanzo cavalleresco, si snoda soprattutto su arrangiamenti e assoli di chitarra elettrica decisamente hard, e addirittura , inaspettatamente psichedelici. Si tratta di passaggi lunghi ma ben articolati, molto vicini allo stile dei Led Zeppelin più oscuri, e difatti all’improvviso, l’atmosfera s’incupisce ulteriormente, sulla falsariga della delirante(bellissima!) led-zeppeliniana “No quarter”( per chi ne ricorda il video,vi erano dei richiami romantico-cavallereschi, con l’affascinante John-Paul Jones a cavallo,a farla da protagonista..).Il mood plumbeo e quasi visionario evocato dal conclusivo assolo di chitarra, sfumerà nella successiva e più vivace “Glasgerion”, figura tradizionale citata dal padre della letteratura anglosassone Geoffrey Chaucer nel 1300 circa. Sarà un battito di mani ,un rullo di tamburi a mò di marcetta militare e la melodia saltellante della chitarra semi acustica di Clarke, a introdurre gli acutissimi fraseggi vocali di Celia Humphris, qui interlocutorii, per lasciare maggior campo, in verità, ai consueti assoli delle strings, molto aperti, ariosi, nello stile dei Fairport Convention; e seguendo il già collaudato schema del rallentamento progressivo delle ritmiche, la voce femminile rientrerà, pacata e quasi melanconica, per condurre, col suo timbro brillante e chiaro, ad una conclusione che si amalgamerà al brano successivo .
Importantissimo è che “Glasgerion”, riarrangiata anche da Bert Jansch dei Pentangle, rinacque sotto il nome di “Jack Orion”, lunga ballata dell’album “Cruel Sister”. E la melodia di “Glasgerion”, si fonderà dunque in “She moved through the fair”, ulteriore rielaborazione di un tradizionale irlandese; verdi sono le sensazioni che scaturiscono dalle chitarre liquide che in giri volutamente (e a volte esageratamente) ingarbugliati, bene suggeriscono l’idea di fiera, le vocals serene,e il dulcimer a tratti sgorga,verde come l’Irlanda. E appunto anche da una grandissima artista irlandese quale Loreena Mckennit,venne rifatto a cappella questo pezzo popolare, che le spettava tradizionalmente, per diritto di nascita. Jimmy Page ne riprese gli accordi per la sua “ White Summer”, mentre i Simple Minds ne furono ispirati per “Belfast child”. Poco, a ben vedere, è dunque il materiale autoctono, a parte”Nothing special” ,o “ Road” , un duetto fra il suo creatore Oshell e la vocalist Humphrey, o la bellissima, lunare “Epitaph”,uno dei brani più incantevoli e suggestivi che confermano ulteriormente le indubbie doti canore femminili, in volo sopra la malinconia che stilla dalla chitarra acustica. Luminosa, la conclusiva “Snail’s lament” molto hippy negli arrangiamenti leggeri e quasi “free”,richiamano gli Spirogyra più rilassati.
Nel 1971, uscì, sempre per l’etichetta CBS, il secondo ed ultimo capitolo dei Trees, “ On the shore”, a cui sopraggiunse lo scioglimento della band. Opera decisamente superiore alla precedente,più matura anche nelle scelte stilistiche e con la maggior parte della produzione inedita, il brano che la inaugura “Soldiers Tree”, non si distacca minimamente dalla tradizione popolare a cui il gruppo inglese aveva attinto a piene mani, tanto da poter essere addirittura confuso con le migliaglia di folk songs che la costituiscono. E insieme a “Murdock” e “Sister of Derry”, proprio nella proposta melodica ben possono accostarsi ai canoni che avevano reso grandi i Mellow Candle. Leggerissima e cristallina, “Sally free and easy”, è una lunga dissertazione ben costruita intorno alla voce di Celia dotata di un’estensione che stupisce continuamente, con pianoforte e chitarre semi-acustiche al suo servizio.
Da altre epoche riecheggia il brevissimo intervallo strumentale “Adam’s toon” , a metà tra folklore e amor cortese, mentre, tradizionale propriamente detto “ Geordie”, è una commovente ballata celtica di come una donna incinta chiederà pietà al carnefice che dovrà impiccarne il marito e come una colletta popolare contribuirà a salvarlo; riadattata per prima da Joan Baez nel 1962, anche Fabrizio De André ne donerà un’ulteriore e drammatica versione,cambiandone il contenuto. Anche “Little Sadie” ,stavolta presa in prestito dal folklore americano, è una ballata proposta dai Trees in una spensierata versione country, nonostante di uxoricidio si parli, e di cui esistono varianti geografiche in North Carolina, Missouri, Messico.
Persino Johnny Cash e Bob Dylan ne editarono delle versione personali, e si crede addirittura che questo pezzo abbia influenzato anche “Hey Joe”(1960); rielaborazioni continuarono fino al 2005. “While the iron is hot”e “Pretty Polly”chiuderanno il sipario sulla storia dei Trees. Gruppo interessante non solo dal punto di vista musicale, ma anche e soprattutto da quello filologico: in virtù proprio della loro assidua riscoperta di materiale appartenente a tradizioni popolari eterogenee si evidenziano come referenze geografiche differenti possano influenzare il folklore di un popolo modificandone nomi e protagonisti.
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