Grateful Dead
Live Dead
Era il 1969: gli ultimi bagliori psichedelici si stavano dissolvendo, e con loro la cultura hippie che imperversava da qualche anno. Erano momenti di sommossa sociale, di rabbia contro il sistema, di ribellione; non c’era più spazio per i figli dei fiori e per i loro peace and love. Anche nella musica erano in corso dei cambiamenti significativi. Stavano prendendo piede generi come l’hard-rock e il progressive, mentre il rock psichedelico era ormai in declino. Fu comunque una stagione straordinaria, in cui nacquero artisti leggendari come Pink Floyd, Jefferson Airplane, Doors, Jimi Hendrix e tanti altri. Anche gruppi come Beatles e Rolling Stones furono influenzati da quella cultura, e incisero dischi di chiara ispirazione lisergica (Sgt Pepper's, Their Satanic Majesties Request).
Ma i più eccentrici, anarchici e rivoluzionari di quell’epoca furono i Grateful Dead. Formatisi a San Francisco nel 1965, diventarono in breve uno dei complessi più popolari della Bay Arena. Più che un gruppo musicale, erano una vera e propria comune, una grande famiglia formata da ben sette musicisti: Jerry Garcia (chitarra e voce), Ron "Pigpen" McKernan (tastiere e voce), Robert "Bob" Weir (chitarra e voce), Phil Lesh (basso), Bill Kreutzmann (batteria), Mickey Hart (percussioni) e Tom Constanten (tastiere); a questi va aggiunto anche il paroliere Robert Hunter. Dopo un incerto esordio, con Anthem of the Sun e Aoxomoxoa avevano dimostrato le loro capacità creative, incidendo due album cardine del movimento psichedelico. Ma la loro vera essenza stava nelle esibizioni dal vivo, in cui si proponevano lunghissime improvvisazioni che mandavano in visibilio il pubblico. I loro, più che concerti, erano happening festosi pieni di hippie in preda ad allucinogeni ed altre sostanze in grado di alterare la percezione della realtà.
Il disco che racchiude al meglio quelle memorabili esibizioni è Live-Dead. Si tratta non solo del loro album più popolare e rappresentativo, ma anche uno dei live più significativi della storia del rock. A renderlo leggendario è soprattutto Dark Star, che dai 3 minuti della versione in studio si trasforma in una suite di 23, quasi interamente strumentale, dove a farla da padrone è la chitarra acida di Garcia, che dimostra di essere uno dei chitarristi più originali di sempre. Tra progressioni, decelerazioni e momenti di stasi sonore, mette in piedi un grande affresco psichedelico, magnificamente coadiuvato dall’organo di Consanten. St. Stephen (da Aoxomoxoa) è l’unico brano ripreso da album precedenti, che viene qui riproposto quasi fedelmente rispetto alla versione in studio. È un ottimo pezzo, che alterna abilmente parti energiche ad altre più rilassate. Si tratta comunque di un episodio che si pone in secondo piano all’interno di una cornice dove a farla da padrone sono le improvvisazioni collettive. Infatti si passa subito allo strumentale Eleven, dove i musicisti si scatenano in un'incontenibile jam che porta direttamente a Turn On Your Love Light, un rhythm and blues di J. Scott e D. Malone, qui ovviamente stravolto e allungato a dismisura fino a 15 minuti. La parte da leone stavolta la fanno la voce e le percussioni di Kreutzmann e Hart, che da sole occupano gran parte del pezzo.
Death Don't Have No Mercy è un blues (Gary Davis) emozionante sia nella parte vocale che negli assolo d’organo e chitarra. Sono 10 minuti di grande pathos e intensità. Si conclude con Feedback: 8 minuti di distorsioni chitarristiche al limite del rumore. È un esperimento audace e di non facile ascolto, parente stretto dei Pink Floyd di Interstellar Overdrive o del Jimi Hendrix di Third Stone from The Sun. Termina così non solo un album epocale, ma anche un’epoca. Già dal seguente Workingman's Dead, abbandoneranno la loro fantasiosa sperimentazione psichedelica per un country-folk tradizionale che procurerà loro un buon successo di vendite, ma anche la delusione dei fan della prima ora. La storia dei Dead terminerà il 9 agosto 1995, giorno della morte di Garcia.
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