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R Recensione

8/10

And You Will Know Us By The Trail Of Dead

Tao Of The Dead

Tornano i Trail of Dead e per fortuna ancora una volta non si rimane delusi. Giunta al settimo disco, la band americana vive ormai di rendita, e continua a sfornare i dischi che in cuor loro avrebbero voluto (potuto no, non hanno abbastanza estro creativo) realizzare i Muse di Bellamy.

Se questi per l'ultimo disco The Resistance si era tuffato ad occhi chiusi tra le braccia di Freddie Mercury i nostri eroi della morte si sono lanciati a più sospinto nel rievocare il meraviglioso (?) mondo del progressive anni '70, portando avanti il percorso intrapreso nel precedente The century of self, in cui già era possibile sentire tracce di King Crimson, Van Der Graaf Generator e Robert Wyatt. Il frontman Conrad Keely lo confessa apertamente in un'intervista: “Mi sono ispirato ai dischi della mia gioventù, concept-album incredibili come “Dark side of the moon” dei Pink Floyd, “Relayer” e “Close to the edge” degli Yes e “Hemispheres” dei Rush”.

In effetti Tao of the dead (il cui titolo è ispirato al “Tao Te Ching”, opera di Lao-Tse considerata una delle vette del Tao e più in generale del pensiero cinese) è ambizioso fin dalla sua natura di concept-album in cui i brani si annunciano collegandosi tra loro senza inizio né fine, come a suo tempo ci avevano insegnato i Who in Tommy.

In realtà ascoltando brani come Pure Radio Cosplay, Fall Of The Empire e The Wasteland, il riferimento prog più immediato è quello di Peter Gabriel e delle epicità alla Genesis. Non si pensi però che i Trail of Dead abbiano rifatto Foxtrot o Selling England by the Pound (grazie al cielo, aggiungerei!). Prendiamo Pure Radio Cosplay a titolo esemplificativo: la presenza di Peter Gabriel è quella di un artista che si sveste dai nebulosi panni intellettualoidi per sporcarsi le mani con groove ed energie alla Motorpsycho dei tempi d'oro. Ne viene fuori una squisita psichedelia progressiva che s'intreccia con un rude punk-core e con intriganti ritmiche indie-rock. Si parla insomma di sfumature musicali, chè la musica dei Trail of Dead resta in sé qualcosa di molto raro (se non quasi unico) nel panorama musicale contemporaneo. Eppure il gioco si basa su variabili costanti: aperture strumentali gloriose (Introduction: Let Us Experiment, Spiral Jetty) e vocalizzi melodici che si muovono su quel sottile confine tra dimensione autoriale (il post-core alla At The Drive In di Summer Of All Dead Souls) e adolescenziale (Ebb way e la sensazione che i ritornelli urlati dopo un po' stanchino...).

Il tutto con la consueta energia e dinamicità che porta a realizzare pezzi come How Much Fun, che alterna freschi momenti art-pop (con tanto di pianoforte a seguito) a sfuriate soniche primordiali. Infine c'è un elemento psichedelico assai più marcato del solito: lo si nota nei loop del climax ascendente di Cover The Days Like A Tidal Wave, ma soprattutto in due brani “di peso” come The Fairlight Pendant e Tao Of The Dead Part II. La prima parte infatti da basi di psichedelia krauta classica (Neu!) che pian piano accelerano, prendendo idealmente coscienza dell'esistenza degli anni '80 (il noise dei Sonic Youth) e '90 (gli albori del post-rock americano), creando quella piccola summa di eclettismo così tipica dei '00s (vedi anche la voce Oneida). La seconda è una piccola opera nell'opera, con i suoi 16 minuti che si oppongono alle produzioni assai brevi (spesso sotto i 3 minuti) del resto del disco. Inutile dire che lo fa in maniera eccezionale, assommando tutto quanto detto detto stilisticamente finora (ma dedicando maggiore spazio a sonorità heavy-psych) in un unico brano.

Un disco solido e pieno di spunti quindi questo Tao of the Dead, come ci hanno abituato a fare i Trail of Dead.

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Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 6 voti.
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C Commenti

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tramblogy alle 22:07 del 21 febbraio 2011 ha scritto:

coraggiosa copertina jacksoniana...

skyreader (ha votato 6 questo disco) alle 22:12 del 21 febbraio 2011 ha scritto:

"Grazie al cielo, aggiungerei!"

Guarda vorrei soltanto chiederti il significato di questa tua puntualizzazione... Mi auguro che voglia riferirsi al fatto che fortunatamente i Trail of Dead non tentano di scimmiottare due grandi album dei Genesis che citi. No, perchè scritta così pare che ci sia ambiguità ad attribuire pieno valore a due dischi enormi che non solo hanno segnato la storia del prog ma quella della musica mondiale. Anche se quel suono romantico-barocco, con tutti i suoi massimalismi, rimane inesorabilmente "relegato" ad un'era... Vedremo i Trail of Dead cosa hanno da offrirci "di nuovo"... La tua recensione invoglia.

Alessandro Pascale, autore, alle 23:49 del 21 febbraio 2011 ha scritto:

beh insomma, diciamo che non avrei nessuna voglia di ascoltarmi un Foxtrot uscito oggi nel 2011. Magari 40 anni fa sì. Ma oggi proprio no. In generale è vero che ho sempre avuto un rapporto un po' conflittuale con i Genesis, anche se in quell'affermazione non c'era tanto la volontà di denigrare il gruppo prog quanto il sollievo di vedere uno dei propri gruppi più adorati (ToD) che han mantenuto la loro dignità tenendo fede al loro sound

skyreader (ha votato 6 questo disco) alle 11:47 del 23 febbraio 2011 ha scritto:

Di prog ce n'é ben poco...

...fortunatamente, aggiungerei. La cosa più "prog" di questo disco è la copertina (vedi l'uomo-volpe). Ma francamente i Genesis non li avrei neppure tirati in ballo, tale e tanta è la distanza. Oneida, Motorpsycho, certamente anche gli Oceansize. A tratti anche un certo post-rock più d'impatto (Russian Circles, Red Sparowes). Forse della scena Krauta i Neu mi sembrano i più lontani come riferimento: più calzante sarebbe stao citare gli Amon Duul II. Certamente la forma concept-album induce un parallelismo con quanto il prog ha prodotto, ma qui siamo in altre acque, sia a livello di risultati, sia a livello di virtosismo tecnico. E non importa se c'é chi considera ciò un bene o un male. Il disco "scorre" e scorre bene, con momenti di grande ispirazione ("Cover The Days...", "Fall Of The Empire"), però a mio parere lo status di quattro stellette è esagerato, se attribuito a poche settimane dalla release: quattro stelle ci stanno solo dopo un anno-due di continui ascolti o con la certezza dettata da un sesto senso superiore. Non credo ai voti di fiducia, "sulla" fiducia, sull'esaltazione del momento. Non conosco il precedente, ma a questo punto la curiosità c'é tutta, pur immaginando che riferimenti come King Crimson, Van Der Graaf Generator e Robert Wyatt, come nel caso di questo nuovo opus, non saranno poi così stringenti. Credere alle dichiarazioni degli artisti lascia il tempo che trova, ne so qualcosa. Anche in questo caso il tirare in ballo un "Relayer", un "Close To The Edge" degli Yes da parte di Keely mi sembra un piccolo gioco d'azzardo che serve a catalizzare l'attenzione di un "certo" pubblico che però potrebbe poi rimanere deluso nelle aspettative. Si sa, un conto è l'ispirazione alla quale si richiama un musicista, un conto è quello che poi realizza. Quando scrivi "squisita psichedelia progressiva che s'intreccia con un rude punk-core" invece mi trovi pienamente concorde.

Alessandro Pascale, autore, alle 14:00 del 23 febbraio 2011 ha scritto:

ovvio che di prog ce n'è poco

leggendo la recensione appare chiaro che si parla di sfumature stilistiche. Se però uno conosce la carriera dei Trail of Dead sa che solo in questi ultimi due dischi emerge una certa matrice prog nel loro sound (anche se ovviamente limitata da altri elementi ben più evidenti). Mi sembra anche evidente dalla recensione che i riferimenti stilistici (come ad esempio quello ai NEu) vengono fatti spesso sui singoli brani, che ovviamente sennò in generale i ToD stanno al kraut come Berlusconi alla democrazia. Ovvio cmq che prima di recensire il disco l'abbia fatto macerare un bel po' (2-3 settimane circa di ascolti circa), tanto più che siamo tra gli ultimi sul web ad averlo recensito. mea culpa, tendo ad essere scrupoloso se posso (vedi eccezione sui Radiohead la cui priorità imponeva di "sbrigarsi"), ma evidentemente non lo sono abbastanza. D'ora in avanti quindi sarà meglio se aspetterò un paio d'anni prima di recensire un disco che credo meriti almeno un 8... Ulteriori precisazioni: tendo a fare l'analisi stilistica prima di cercare informazioni sul gruppo o sul disco (vd ad esempio il riferimento all'intervista), proprio per evitare di farmi sviare anche solo inconsciamente; talvolta mi è senz'altro capitato in passato ma tendo a cercare di essere il più critico possibile sia verso me stesso che verso gli altri, e mai e poi mai darei un voto alto "sulla fiducia" o sull'esaltazione del momento ad un disco recensito. Proprio perchè in sè la recensione dovrebbe essere un momento di critica e approfondimento che va oltre il giudizio istantaneo e superficiale.

skyreader (ha votato 6 questo disco) alle 14:26 del 23 febbraio 2011 ha scritto:

Serendipità

Guarda che non penso che la tua recensione sia stata approssimativa. Semplicemente leggendola mi ero fatto l'idea che il disco "suonava" diversamente. Probabilmente ho tratto io delle conclusioni sbagliate, un po' anche sulla base dei riferimenti musicali indicati. Ma alla fine, grazie al sempre benedetto principio di serendipità, quello che ho scoperto grazie alla recensione è un gruppo che mi piace e che sono felice non tenda a scimmiottare sonorità difficilmente replicabili senza risultare fuori tempo massimo.