And You Will Know Us By The Trail Of Dead
Tao Of The Dead
Tornano i Trail of Dead e per fortuna ancora una volta non si rimane delusi. Giunta al settimo disco, la band americana vive ormai di rendita, e continua a sfornare i dischi che in cuor loro avrebbero voluto (potuto no, non hanno abbastanza estro creativo) realizzare i Muse di Bellamy.
Se questi per l'ultimo disco The Resistance si era tuffato ad occhi chiusi tra le braccia di Freddie Mercury i nostri eroi della morte si sono lanciati a più sospinto nel rievocare il meraviglioso (?) mondo del progressive anni '70, portando avanti il percorso intrapreso nel precedente The century of self, in cui già era possibile sentire tracce di King Crimson, Van Der Graaf Generator e Robert Wyatt. Il frontman Conrad Keely lo confessa apertamente in un'intervista: “Mi sono ispirato ai dischi della mia gioventù, concept-album incredibili come “Dark side of the moon” dei Pink Floyd, “Relayer” e “Close to the edge” degli Yes e “Hemispheres” dei Rush”.
In effetti Tao of the dead (il cui titolo è ispirato al “Tao Te Ching”, opera di Lao-Tse considerata una delle vette del Tao e più in generale del pensiero cinese) è ambizioso fin dalla sua natura di concept-album in cui i brani si annunciano collegandosi tra loro senza inizio né fine, come a suo tempo ci avevano insegnato i Who in Tommy.
In realtà ascoltando brani come Pure Radio Cosplay, Fall Of The Empire e The Wasteland, il riferimento prog più immediato è quello di Peter Gabriel e delle epicità alla Genesis. Non si pensi però che i Trail of Dead abbiano rifatto Foxtrot o Selling England by the Pound (grazie al cielo, aggiungerei!). Prendiamo Pure Radio Cosplay a titolo esemplificativo: la presenza di Peter Gabriel è quella di un artista che si sveste dai nebulosi panni intellettualoidi per sporcarsi le mani con groove ed energie alla Motorpsycho dei tempi d'oro. Ne viene fuori una squisita psichedelia progressiva che s'intreccia con un rude punk-core e con intriganti ritmiche indie-rock. Si parla insomma di sfumature musicali, chè la musica dei Trail of Dead resta in sé qualcosa di molto raro (se non quasi unico) nel panorama musicale contemporaneo. Eppure il gioco si basa su variabili costanti: aperture strumentali gloriose (Introduction: Let Us Experiment, Spiral Jetty) e vocalizzi melodici che si muovono su quel sottile confine tra dimensione autoriale (il post-core alla At The Drive In di Summer Of All Dead Souls) e adolescenziale (Ebb way e la sensazione che i ritornelli urlati dopo un po' stanchino...).
Il tutto con la consueta energia e dinamicità che porta a realizzare pezzi come How Much Fun, che alterna freschi momenti art-pop (con tanto di pianoforte a seguito) a sfuriate soniche primordiali. Infine c'è un elemento psichedelico assai più marcato del solito: lo si nota nei loop del climax ascendente di Cover The Days Like A Tidal Wave, ma soprattutto in due brani “di peso” come The Fairlight Pendant e Tao Of The Dead Part II. La prima parte infatti da basi di psichedelia krauta classica (Neu!) che pian piano accelerano, prendendo idealmente coscienza dell'esistenza degli anni '80 (il noise dei Sonic Youth) e '90 (gli albori del post-rock americano), creando quella piccola summa di eclettismo così tipica dei '00s (vedi anche la voce Oneida). La seconda è una piccola opera nell'opera, con i suoi 16 minuti che si oppongono alle produzioni assai brevi (spesso sotto i 3 minuti) del resto del disco. Inutile dire che lo fa in maniera eccezionale, assommando tutto quanto detto detto stilisticamente finora (ma dedicando maggiore spazio a sonorità heavy-psych) in un unico brano.
Un disco solido e pieno di spunti quindi questo Tao of the Dead, come ci hanno abituato a fare i Trail of Dead.
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