Hawkwind
Hawkwind
Guidati dal chitarrista Dave Brock gli Hawkwind si formarono nel 1969 in quella macchina sforna-band che era all’epoca l’Inghilterra. Nonostante i musicisti di grande calibro (uno su tutti Lemmy Kilmister, sì proprio quel Lemmy) che si sono avvicendati nelle file della band (innumerevoli i cambi di formazione dalla nascita del gruppo fino ad oggi) il timone della nave è sempre stato saldamente in mano alla vena creativa di Brock. Questa estrema instabilità a livello di line-up li accomuna ai Deep Purple e come loro possiamo dire che il periodo migliore sia stato sicuramente la prima metà degli anni ‘70, quella che volendo stare stretti potremmo chiudere con l’album Warriors On The Edge Of Time (1975). Questo lustro dorato inizia da qui, da questo album omonimo che mostra già un enorme valore, pur essendo ancora molto dipendente dal suono dell’epoca.
La dipendenza in questione è principalmente dai Pink Floyd, ma si trovano presenze importanti anche di Jefferson Airplaine e Grateful Dead, vale a dire l’acid rock della West Coast. A sentire Hurry on Sundown in realtà si noterebbe anche un certo gusto country-pop tra Byrds e CSN&Y ma non è che un frammento in un brano melodico trascinante già fortemente lisergico che sfrutta una voce potente e suadente.
L’influenza dei Pink Floyd comincia a sentirsi pienamente in The reason is?, psichedelia oscura, ipnotica e malata in cui veleggiano cori spettrali e inquietanti. Se non sapessimo cosa stiamo ascoltando non avremmo molti dubbi sul fatto che si tratti di un qualsiasi brano preso dai momenti più macabri di Ummagumma. E ascoltando Be yourself non esiteremmo un istante a pensare che il giro di batteria non sia di Terry Ollis bensì del Mason di A Saucerful of Secrets e che l’assolo imponente non sia altro che di un Gilmour magari appena stuzzicato da un’esibizione di Hendrix.
Il brano (come molti del resto nella discografia generale del gruppo) sfrutta una struttura circolare che inizia in maniera lenta e convenzionale e che poi degenera in una sfuriata psichedelica travolgente in cui si mescolano il sassofono jazzato di Nick Turner, il labirintico basso, la tastiera funambolica di Dik Mik Davies e i mille effetti chitarristici di Brock. Alla fine tutto si conclude così come era iniziato: con un ritornello enfatico e imponente: non è ancora space rock ma poco ci manca.
Stesso discorso per Seeing it as you really dove sono sfoggiate sfuriate a metà tra la psichedelia dei Jefferson Airplaine e il rock duro dei Blue Cheer. Si respira ancora odore di Jimi Hendrix nell’assolo e tra diversi loop e effetti chitarristici di vario genere ne vengono fuori altri dieci minuti di cavalcata strumentale quasi epica. Paranoia pt.1 e Paranoia pt.2 formano un unicum all’insegna dell’incubo onirico e come The reason is? sembrano uscire dagli episodi più grotteschi di Ummagumma.
Mirror of illusion è un pop etereo sempre immerso di tinte psichedeliche ondeggianti e riprende in una certa maniera l’iniziale Hurry, quasi a chiudere idealmente il percorso circolare intrapreso a livello strutturale nel particolare (canzone) e nell’universale (album).
A testimonianza ulteriore dell’influenza esercitata dai Pink Floyd su questo primo importante lavoro degli Hawkwind è la splendida cover di Cymbaline inserita come bonus-track in una ristampa del disco. La versione di Brock, più limpida, soffice e avvolgente rispetto al pur ottimo brano floydiano è straordinaria e sfiora il capolavoro.
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