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7/10

Staré Město

Punto di fuga

In qualsiasi città dell’Europa orientale vi troviate, vedrete che il borgo antico, a seconda delle leggere differenze nelle varie lingue slave, si chiama Staré Město. A Praga il distretto centrale fu un luogo di vera contaminazione: nel XII secolo vi si stabilirono, gli uni accanto agli altri, italiani, ebrei, tedeschi e borgognoni. Questa band, formata da Enrico Bongiovanni (voce e chitarra), Tom Lampronti (chitarra), Giovanni Sassu (basso) e Ruggero Calabria (batteria), che riconosce il proprio domicilio artistico tra Bologna e Ferrara, rappresenta la città vecchia della wave italiana, quella genuinamente ispirata e deferente all’opera dei Diaframma. Infatti è proprio alla band di Federico Fiumani che gli Staré Město hanno aperto un concerto durante il penultimo “Niente di serio tour”.

Gli Staré Město aprono il loro disco d’esordio “Punto di fuga” con un pezzo in pieno stile Massimo Volume, “Thalia”: fiammanti schitarrate che lasciano il tempo a Bongiovanni di declamare un testo di ostentata realpolitik poetica: «I discorsi lasciati cadere / perché è così che ci conviene». L’impronta sonora cambia leggermente nella successiva “Racconto di primavera” (con Igor Tosi ai cori), in cui la band si fa mansueta e accondiscendente, con un brano tanto semplice quanto diretto, figlio della tradizione melodica italiana. Prima che la foga wave riesploda in “Riparo”, c’è la melodia malinconica di “Menodizero”, in cui ascoltiamo: «Ci sono frasi che hanno senso fino a quando non sono pronunciate / e parole ancora più pesanti da non lasciare incustodite. / Oggi noto una strana insistenza nelle cose / come se avessero il terrore di essere dimenticate».

È a questo punto che arriva “Cielo d’Africa”, cover di un pezzo dimenticato dei Diaframma oggi contenuto ne “Le canzoni perdute” (2000). All’estrema amatorialità dell’originale di Fiumani, gli Staré Město preferiscono una composizione più equilibrata, allungando il brano con assoli di chitarra e rivestendo il tutto con un’aura di freddo siberiano. Dopo la calma straziante de “Le mani” (sinceramente cantata maluccio), è la volta di “Canzone della torre più alta” che, con un incipit altamente rockettaro, si apre ben presto ad una forma canzone più vicina agli standard italici. “Punto di fuga” conclude il suo percorso in “Ultima cena”, una coinvolgente reprise dell’incipit, ancora nello stile severo di Emidio Clementi: «Ho capito che non ti eri mai alzata / da quella stupida sedia».

Coadiuvati in studio da Samboela (precedentemente a lavoro sul capolavoro Brondiano “Canzoni da spiaggia deturpata”), gli Staré Město hanno confezionato un disco molto bello, ed è come se intendessero ricevere personalmente il testimone da Federico Fiumani, qualora questo decidesse di farla finita con la musica: medesima passione per la bassa fedeltà, identica inclinazione al crossover tra punk e ballata rock.

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