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R Recensione

7/10

Blondes

Swisher

Ad appena un anno e mezzo dal (bellissimo) debutto tornano i Blondes, con un disco che ridisegna altri nove brani di house progressiva sospesa tra geometrici rinvii a Manuel Göttsching e risciacquature in chillwave. “Swisher”, più che uno sviluppo rispetto a “Blondes”, sembra una specie di integrazione a quel disco, che d’altronde raccoglieva in gran parte singoli già usciti in precedenza.

La sensazione, dopo l’intro kosmische tra Emeralds e Kuedo (“Aeon”), è che Zach Steinman e Sam Haar diano il meglio quando spingono su suoni più dreamy e aperture glo più ariose. Si tratta, qua, di episodi in minoranza, dove tirano ancora folate ibizenche e dove John Talabot parte in derive trance al crepuscolo: meraviglia “Andrew” con il suo riff tenuto altissimo dai bassi a rimbalzo e dagli effetti balearici (forse il loro nuovo top), e poco sotto “Elise”, che parte come durissima techno ma subito si scioglie in partiture ultra-sognanti e una melodia disegnata per restare.

Per il resto il duo di Brooklyn sembra focalizzato a esplorare piuttosto le zone ombrose tra house e techno, sempre giocando su graduali crescendo in stile IDM che aprono gli spettri dei brani, approfittando di una sospensione dei beats per trasmutarsi e distendersi su nuovi effetti (“Bora Bora”) o decollando da arpeggi spacey di synth ‘80 verso lande che illuminano in modo acciaioso pochi riflessi di loop (“Poland”).

È uno stile sonoro che incanta sempre e in parte ipnotizza, molto ammiccando alle cuffie con i suoi mutamenti minimali e i suoi rivoli di dettagli nerd, tanto più dove zoppica su ritmi difficilmente danceable (“Clasp”), anche se proprio alla pista vorrebbe affidare i suoi apici. Più che hipster questa house a me continua a sembrare barocca, desiderosa di meraviglia e tendente a distrarre il corpo con lo zoom sulla rifinitura. Meno rispetto all’esordio, ma la seduzione funziona.

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