Blondes
Blondes
Le 4 Non Blondes e le Long Blondes sono passate di moda, ormai. Ora le bionde (ahinoi) sono due ragazzi mori che dall’Ohio si sono trasferiti a Brooklyn e che hanno pubblicato un disco coi fiocchi. Zach Steinman e Sam Haar, dopo un Ep (“Touched”) e una serie di 7’’ ‘dualistici’ che si sono interamente riversati sul disco, spostano, con questo debutto lungo, i confini dell’elettronica anni dieci. Prendendo l’abbrivio dagli strascichi di certo glo-fi già ammiccante verso i lidi house, i Blondes vanno a recuperare le lezioni trance mid-’90 su basi baleariche, per lunghe jam sfocate che si costruiscono su crescendo fatti di continui infoltimenti, tra piano, bassi sinuosi, effetti martellanti, sample vocali, fino al progressivo dissolvimento e al silenzio.
C’è post-chillwave (Teenage Fantasy), house ambient dai tratti modaioli (John Roberts), IDM delle origini (Orbital), spruzzate mediterranee (Air France). E tuttavia “Blondes” è un’elettronica che piacerà molto anche a chi non bazzica di solito questi lidi, congegnata com’è con un occhio attento all’effetto estatico, alla costruzione quasi tridimensionale del trip, ricreato davanti agli occhi, dentro le orecchie, con sapienza da maghi. Il punto è che cascare nell’illusione, immergendosi senza difese negli spazi aperti da Steinman e Haar, è goduria troppo generosa per essere rinnegata, anche quando i due giocano con i loro studi di composizione e si danno a un ambient che è quasi modern classical (tanto più nel rifacimento in Do minore di Rene Hell di “Amber”). Piacerà anche ai non clubbofili, questo disco, soprattutto, perché non contiene musica da ballare, pur non essendo neppure musica dance 'intelligente' (sono o non sono bionde?). È una declinazione dreamy e ipnotica della house, quasi 'progressive', come conferma la loro dichiarata ammirazione per Manuel Göttsching. Roba, insomma, da spararsi in cuffia con volume e qualità altissimi.
Ogni pezzo ha un suo sapore, e, pur cascandoti addosso con simili escamotage e con la stessa urgenza, scarica euforie dai colori sempre diversi. “Business” è alluminio glabro, su cui si stagliano effetti trance durissimi e synth ’80 di un severo grigio industria, mentre “Pleasure” lascia il retrogusto di un’Ibiza perduta, sentita lungo la spina dorsale nelle continue metamorfosi dei beat. “Hater” è tutta ritmica a sassate, tra rifrazioni di synth e cascatelle tropicali che formano uno strato sonoro densissimo e folto di dettagli, mentre “Lover” impazzisce di tasti in riverbero e sample labirintici (da Meredith Monk!) che fanno quasi saltare il banco, salvo poi la riemersione di tastiere in luminescenze al neon come una marea che manda tutto in gloria. “Wine” (fenomenale glo-house) e “Water” sono altre estasi da sogno che sfociano nei tratti deep di "Gold".
Ballare, casomai, si balla dopo, visto che il cd-1 esce accoppiato a un disco di remix affidati ad amici e nomi non marginali della scena house e nu-disco. La carne al fuoco è talmente tanta che si rischia di sovraccaricare, se non di oscurare, il materiale di base. Eccellente, in ogni caso, il lavoro dei Teengirl Fantasy su “Wine”, in un remix che ne dimezza il minutaggio ma ne moltiplica la suggestione acquatica. Notevoli anche la deep gotica di Andy Stott (“Pleasure”), l’exotic house laccata di John Roberts (“Business”), la techno sperimentale di Traxx (“Gold”) e quella classica e bella quadrata di Robert Miles (lui!).
Se ne esce storditi. Facile, ora, preferire le bionde.
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