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R Recensione

7,5/10

Omar Souleyman

Dabke 2020: Folk & Pop Sounds of Syria

Quando nel 1986 (la prendiamo un po’ larga…) “Graceland” di Paul Simon fece conoscere al mondo intero le armonie vocali dei Ladysmith Black Mambazo, la prima domanda che si pose fu: “Quanta di questa musica così meravigliosamente strana non conosciamo?”. In risposta alla crescente domanda di musica “world” l’importazione dai quattro angoli del mondo (e i relativi tentativi di “occidentalizzazione”) si sono moltiplicati, con i soliti risultati disastrosi che derivano dal trapianto forzoso di cultura per scopi economici. Così come in Cina nessuno si nutre quotidianamente di pollo alle mandorle o involtini primavera, allo stesso modo in Africa non ascoltano “Yeke Yeke” di Mory Kantè  tutto il giorno (e neanche “The Lion Sleeps Tonight”), in Brasile non passano le notti a ballare “Brasil” e gli Inti illimani non sono al numero uno delle classifiche Cilene. Il fatto è che molto spesso crediamo di entrare in contatto con una cultura, mentre invece riusciamo solo a posare lo sguardo sull'immagine che quella cultura proietta all'infuori di sé. Negli Stati Uniti tre ragazzotti del Sud Italia (si fanno chiamare “Il Volo”) riempiono i teatri presentando uno spettacolo a base di "Il Mondo" (Jimmy Fontana RIP), "O sole mio" e "Un Amore Così Grande". Il pubblico canta a squarciagola in coro con i giovani tenori nostrani e sventola bandiere tricolore con un entusiasmo italico che neanche Tardelli l'11 luglio del 1982. Vista da qui sembra una follia, simile alle folle che si accalcano nell'Europa dell'Est per ascoltare Toto Cutugno o Albano. Invece - se ci pensate - è comprensibile: cosa se ne fanno dei nostri Afterhours (per dire eh...) gli Americani? Hanno già gli Afghan Whigs e i Sonic Youth, da noi vogliono Claudio Villa. E non fate quelle facce schifate, che magari avete appena comprato l'ultimo disco di Willie Nelson.

Senza mettere in dubbio la lodevole spinta derivante dalla passione per la musica,  è probabilmente sulla base di considerazioni simili a queste che la Sublime Frequencies ha cominciato a commercializzare (a voi decidere quale considerazione “di merito” attribuire al termine) musica proveniente da tutto il mondo: folk da Sumatra, pop dalla Palestina, rock dal Sahara. Fino a lui, la loro testa di serie numero uno, l’Albano di Ra's al-'Ayn, Omar Souleyman. “Dabke 2020” è la seconda raccolta di brani uscita per l’etichetta di Alan Bishop ed è un folle concentrato di techno-dabke, jihad-punk, wave acida come la salsa del kebab e canti evocativi di un muezzin piombato improvvisamente in un rave party. C’è qualunque cosa in questi otto brani: la poesia (“Atabat”), la sperimentazione (“Lansob Sherek”), la danza (“La Sidounak Sayyada”, in Siria ai matrimoni ci si diverte davvero), il dub arabo (“Jamila”), le terzine a valanga (di sabbia, “Qalub An Nas”) e tutta la forza di un personaggio e di una musica che non avremmo mai immaginato di ascoltare. E di adorare.

 E non si offendano i Siriani, ma ce ne fottiamo se Omar non rappresenta la loro cultura, se canta in una lingua superata e incomprensibile (ma ve lo immaginate? Una specie di Gianni Celeste che canta in fiorentino antico) e se il loro idolo attuale è tale Alaa Wardi. Se vogliamo ascoltare del pop elettronico o dell’indie-rock ci basta aprire le finestre di casa. Noi – da loro - vogliamo Omar Souleyman.

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C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 21:12 del 21 dicembre 2013 ha scritto:

Che poi chissà come cazzo suona il suono "folk e pop" della Siria! Ad un certo punto bisogna fregarsene, come giustamente dici tu, o il rischio è quello di diventare etnomusicologi nazisti o semplicemente uscire di senno - un'accusa di post-colonialismo culturale val bene una messa. Recensione splendida Fabio, ma che te lo dico a fa'...

fabfabfab, autore, alle 16:42 del 22 dicembre 2013 ha scritto:

Ahah, se questo è il folk-pop, pensa lì cos'è la techno! In realtà pare che ascoltino musica molto più "pop" di questa, e cantata in Arabo e non in Siriano.... Sembra addirittura che Omar non sia famoso se non nella sua regione... è davvero il Gianni Celeste del Medio Oriente

Suicida (ha votato 6 questo disco) alle 17:19 del 28 dicembre 2013 ha scritto:

Una perla kitsch! :v