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R Recensione

5,5/10

Idles

Joy As An Act Of Resistance

Periodicamente la scena musicale britannica, a fronte di una una politica aggressiva per quello che riguarda i rapporti con il resto del mondo e persino repressiva quando si tratta di quello che succede (oppure no) all'interno dei propri confini e specialmente in in Inghilterra, spara fuori delle ondate di gruppi che si fanno portavoce e rappresentanti di quella che potremmo definire come dissidenza oppure come dicono tutti quanti oggi, opposizione al sistema e ai cosiddetti poteri forti. È successo in maniera più diffusa alla fine degli settanta e poi all'inizio degli anni ottanta; durante gli anni novanta e succede adesso ai tempi della Brexit, che poi costituisce il culmine di una storia che tanto sul piano sociale quanto sul piano culturale, nell'ultimo secolo ha visto quello che era in qualche maniera il centro del mondo nel 1800, rientrare nei ranghi che le competono, fino a diventare qualche cosa di piccolo sulla grande mappa mondiale.

Questo gli inglesi non lo hanno mai accettato, parlo dei grandi numeri ovviamente, ma di fatto da quelle parti non esce nulla di nuovo dai tempi dei Beatles e dei Rolling Stones. A meno che ovviamente non vogliate considerare rilevante il fenomeno Spice Girls. E la componente nichilista di questi gruppi diciamo di opposizione è chiaramente figlia della mancanza di feedback e riscontri sul piano politico e sociale dove questi movimenti possano trovare un proprio senso compiuto. Così il punk è stata una rivoluzione illusoria, spesso poi sfociata in comportamenti e estetiche di ultra-destra, così il valore sul piano musicale e ideologico della musica degli Idles e in particolare di questo ultimo album intitolato "Joy As An Act Of Resistance" (Partisan) si possono considerare in maniera molto relativa. Con il successo di "Brutalism" (Balley Records) lo scorso anno, il gruppo ha scalzato sul piano della popolarità tutti gli altri gruppi di questa corrente tra cui i vari Fat White Family e gli Shame, probabilmente persino gli Sleaford Mods, che tra tutti questi sono sicuramente gli unici a avere veramente dei contenuti interessanti sia sul piano musicale che espressivo.

Ma l'estetica accattivante degli Idles ha avuto la meglio, la loro maggiore aggressività e in fondo anche il fatto che siano probabilmente più bravi rispetto agli altri semplicemente, hanno fatto sì che su questo disco ci fosse grande attesa e come sempre succede in questi casi, non ci sono dubbi allora che si tratterà di un (relativo) successo. Dire quanto questo sia immeritato oppure no lascia il tempo che trova. Che cosa ci si sarebbe dovuti aspettare del resto? Pezzi come "Colossus", "Danny Nedelko" seguono la stessa scia post-hardcore accattivante del disco precedente; "Rottweiler", forse uno degli episodi più interessanti, propone rielaborazioni post-industriali e rumoriste interessanti, così come il sound e le atmosfere decadenti di "Cry To Me"; inevitabile quindi quella aggressività Prodigy in pezzi come "I'm Scum" e "Never Fight...", che poi sfocia nell'altrettanto prevedibile no future ("Gram Rock"). Assolutamente incomprensibili tuttavia sul piano compositivo il resto delle tracce, vedi le spacconate di "Great" oppure pezzi veramente privi di ogni senso come "June", "Television", "Samaritans". Per non dire di "Love Song".

Se "Brutalism" poteva avere sorpreso in maniera positiva, questo è inutile quanto tanti dischi punk oppure hardcore usciti negli ultimi trent'anni. Il suo successo sarà labile, assolutamente "flash", così come sono senza contenuti e conseguenze rilevanti tutte le esperienze già menzionate. Ma in fondo va bene così. Il mio giudizio negativo non va contro il fatto più rilevante, cioè che gli Idles siano in fondo un gruppo di cazzoni. Prendeteli e considerateli in quanto tale .

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