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R Recensione

6/10

You Said Strange

Salvation Prayer

Salvation Prayer” è un simpatico disco di pop-rock psichedelico con un forte imprinting shoegaze e lancia una ennesima nuova proposta Fuzz Club Records sul mercato europeo. La band si chiama You Said Strange, un quintetto proveniente dalla Normandia composto da Eliot e Martin Carrière, Paul Dufresne, Hector Riggi, Matthieu Vaugelade. Il gruppo fino a questo momento non aveva sicuramente una qualche notorietà al di fuori dei confini francesi: aveva finora pubblicato un pugno di EP, tra cui uno in collaborazione con i londinesi Black Market Karma (una band che si può dire abbia la stessa attitudine di questo quintetto) e aveva suonato come band di supporto dei Dandy Warhols durante il loro tour in Francia. Non a caso questo disco è quindi stato registrato a Portland, Oregon con la produzione di Peter G. Holstrom degli stessi Dandy Warhols, che si può definire come il vero e proprio ispiratore e allo stesso tempo anfitrione dell'intero progetto.

Il gruppo di Vernon, una delle città-simbolo della guerra dei cent'anni, ha sempre avuto peraltro una certa devozione nei confronti dei Dandys e questo segna in maniera indelebile il sound della band, supportato chiaramente da una produzione e da delle registrazioni (con una serie di collaboratori più o meno eccellenti) che inevitabilmente spingono in quella direzione. “Salvation Prayer” è un disco ispirato a tematiche di carattere spirituale, sulla scia di alcuni concept sviluppati dai Black Rebel Motorcycle Club, anche se il suono dell'album stride in qualche modo con questi propositi, salvo alcuni momenti di sciamanesimo psichedelico come “Get Out” e, magari, alcune suggestioni drone di “Extend”, il brano manifesto dell'intero album e, forse, la summa del sound della band: una composizione di sette minuti di accelerazioni shoegaze e groove di tastiere, potenti giri di basso e un cantato soffocato da riverberi che esaltano il carattere più pop e sfumato del pezzo.

Fondamentalmente è questo il sound tipico della band, che se da una parte cerca di suonare in maniera accattivante e maliziosa come i Dandys, dall'altra riprende il furore shoegaze dei Ride - va detto - in una misura più convincente di quanto lo stesso Andy Bell e compagni abbiano fatto in epoca recente, quando hanno dimostrato una certa stanchezza comune a tutti i grandi gruppi del genere ritornati negli ultimi anni. Un paio di episodi come “Leave The Lord” e soprattutto “Tilelli” sono secondo me completamente sbagliati o comunque fuori luogo, ma il resto del disco suona per lo più piacevole e compatto e forse in una maniera pure ripetitiva: così strappa pure una sufficienza, ma restano perplessità su possibili sviluppi di un progetto che forse avrebbe necessitato di un debutto di maggiore forza e impatto sul piano delle suggestioni e del carattere emotivo del suono.

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