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R Recensione

6,5/10

Bombino

Deran

Bombino ha presentato “Deran” come il disco del suo ritorno in Africa. Una affermazione che ha un significato simbolico, ma anche di natura geografica, dato che a distanza di dieci anni il chitarrista classe 1980 - nato a Tidene, un campo Tuareg in Niger a 80 chilometri di distanza da Agadez, ma cresciuto tra Algeria e Libia durante gli anni della ribellione Tuareg - ritorna a registrare in studio nel suo continente natio e in una location particolare come gli Studio HIBA, un impianto situato in prossimità di Casablanca, Marocco e di proprietà del Re Mohammed VI.

Registrato con il suo fedele compagno Illias Mohammed alla chitarra, il bassista mauritano Youba Dia e il batterista Corey Wilhelm, che compongono la sua formazione-tipo, in studio Bombino è stato raggiunto da altri musicisti e amici come il percussionista Hassan Krifa e i suoi cugini Anana Ag Haroun (Kel Assouf) e l'attore Toulou Kiki. Le registrazioni sono state una specie di seduta lampo di soli dieci giorni, il processo è stato poi completato a Boston con l'aggiunta del suono delle tastiere da parte del sudanese Mohammed Araki. Il disco è stato pubblicato il 18 maggio su Partisan Records, con la solita supervisione di Dan Auerbach dei Black Keys, e come annunciato segna per il musicista un tentativo di riavvicinarsi alle proprie origini, un patrimonio culturale, storico ed identitario mai veramente dimenticato che da sempre cerca di trasmettere e comunicare con la sua musica e con quel suo stile che - tra lo sciamanesimo Tinariwen e l'emulazione del suo mito Jimi Hendrix - spinge decisamente più verso il secondo modello.

Del resto Bombino ha una storia differente da quella dei Tinariwen e appartiene a una nuova generazione meno legata in maniera viscerale al deserto. Questo gli ha sicuramente permesso di aprirsi con maggior facilità al mondo occidentale, dove oggi riscuote un relativo successo, sia negli USA che in Europa (anche in Italia, dopo la collaborazione con la pop star Jovanotti nel 2015). Proprio per queste ragioni, il giudizio su questo disco diventa, in qualche maniera, difficile. “Deran” è più "tradizionale" (mi riferisco chiaramente alla tradizione Tuareg) rispetto ai precedenti “Agadez”, “Nomad”, “Azel”? Probabilmente sì, ma neppure troppo. Lo stile riprende quello tipico del genere tishoumaren ed è sicuramente carico di folklore di Africa nord-occidentale: il disco è piacevole all'ascolto (difficilmente potrà non piacere), ma è oggettivamente ripetitivo e senza nessuno spunto particolare.

La sensazione definitiva è che in fondo questo ritorno (senza sottovalutare quello che può essere il significato personale e privato del musicista e uomo Bombino) non abbia inciso in maniera particolare sulla qualità complessiva del suono, che è buono, ma forse meno acido e spinto verso una certa devozione al rock anni settanta. Promosso, ma la vera e attuale dimensione di quello che Noisey ha definito come il miglior chitarrista del mondo è un'altra: non è, forse, né questa né quella (come qui ripetuta) delle produzioni col freno tirato di Auerbach, che forse rendono sul piano della visibilità, ma che sembrano quasi stringere dentro una morsa quei demoni incendiari che un chitarrista come Bombino non può non sentire dentro di sé.

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