R Recensione

8/10

Tomografia Assiale Computerizzata

Symphonie Industrielle (ristampa)

Andrea Azzali e Simon Balestrazzi sono due musicisti d’avanguardia con un curriculum vitae di tutto rispetto, pieno zeppo di produzioni musicali d’elettronica, rumorismo e non-musica. Azzali, bassista, si è specializzato, per così dire, nella sonorizzazione di performance artistiche e/o teatrali; Balestrazzi, chitarrista, ha invece proseguito la propria ricerca fondando e cofondando progetti musicali di alto profilo formale e di impressionante genuinità metodologica. I nostri, quand’eran giovani scavezzacolli, imprimettero su nastro quelle che oggi appaiono delle pietre miliari della musica astratta anni ’80. Si firmavano T.A.C. – e in realtà erano cinque con Giampaolo Terenziani (percussioni), Fabio Cortesi (tromba e synth) e Giorgio Barbuti (voce) –, ovvero Tomografia Assiale Computerizzata, tosto manifestando il proprio intento: attraverso le tecniche più avanzate sottoporre il suono a indagine diagnostica approfondita, sondarne la profondità, saggiarne il contenuto, controllarne la forma e l’ampiezza. Tra le registrazioni del periodo 1981-85 c’è la “Symphonie Industrielle”, una vera e propria disposizione armoniosa di elementi sonori i più disparati, da ascrivere al turbinoso universo della scena industriale italiana.

I mezzi coi quali Azzali e Balestrazzi hanno operato sono i prodotti delle ricerche fonologiche europee dal primo futurismo al futuro prossimo. Difatti nella “Symphonie Industrielle” troviamo il taglio e cucito del nastro magnetico – praticamente un’invenzione di Berio, Maderna, Nono e Varèse –, l’utilizzo della radio a onde corte che riporta a Schaeffer e Theremin, gli oggetti di uso comune quali forbici, tubi, legnetti e pennarelli utilizzati all’infuori del proprio contesto (dada e futurismo); ma troviamo anche il riciclo di nastri ritrovati per caso – come fecero gli Opto nel 2004 – oppure l’accostamento di strumenti desueti quali il triangolo e il violino con le drum machines Boss DR-110 e i sintetizzatori Korg MS-10, od anche infine le incursioni vocali rintracciabili nei lavori degli Einstürzende Neubauten o in certo avant-rock di stampo Celluloid. Credo di poter affermare che questo disco, apparentemente una frattaglia dei primi T.A.C., rappresenti invece un completo e omogeneo discorso sul contrappasso del progresso, nel senso che non può esservi sviluppo economico (industriale, su tutti) senza sacrificare qualche altro sviluppo (culturale? ambientale? umano?). Dunque, se la società industriale implicava l’affrancamento del lavoro dai vincoli del mondo che lo precedeva (pre- o semi-industrializzato), per sillogismo la società post-industriale avrebbe dovuto produrre un’emancipazione dal lavoro o perlomeno dai suoi aspetti più faticosi. E invece no. Siamo ancora qui a elemosinare lavoro e fatica, impossibilitati ad «échapper à la machine» – direbbe Deleuze, con la società (post)industriale che nel 2017 resta uno dei temi scottanti della politica, degli studi accademici e del mondo tutto.

Nelle orecchie ci restano però quei tre quarti d’ora di voci e suoni che Andrea Azzali e Simon Balestrazzi fissarono su nastro, oggi tornati a nuova vita grazie al lavoro di ristampa dell’Officina Fonografica Italiana e di Spittle Records: quarantacinque minuti che temo non siano un’ode ma un’eresia, quarantacinque minuti di spavento, perché raccontano un mondo – reale ancor prima che sonoro – lugubre, subdolo, deforme. Gli otto movimenti della “Symphonie Industrielle”, sottoposti a questo tipo di Tomografia Assiale Computerizzata, diventano quindi dei consapevoli sbagli, uno splendido sabotaggio per chi ha orecchie buone.

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