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R Recensione

6,5/10

Globetrotter

(d)evolution

I Globetrotter di “Fibonacci” – disco con il quale li scoprimmo e segnalammo un paio d’anni orsono – erano un buon gruppo math, che soffriva però di due difetti non esattamente trascurabili nel genere di pertinenza: una gestione strumentale non sempre priva di sbavature e, soprattutto, la mancanza di un bassista che potesse donare ulteriore profondità alle trame dei loro brani. Oggi, con il terzo “(d)evolution”, entrambe le mende vengono rabberciate: l’ingresso in formazione di Pierluigi Bartolo Gallo è peraltro strettamente funzionale ad un contemporaneo, sensibile innalzamento dell’asticella tecnica, con la chitarra del factotum Giovanni Nazzaro libera – ancor più che in passato – di inanellare riff senza soluzione di continuità, alterando a piacimento umori e movenze di ogni canzone.

Rispetto a “Fibonacci” rimane una gradita concisione di fondo (si sta ancora sotto la mezz’ora totale, per capirci), ma per il resto ci troviamo di fronte ad una band profondamente rinnovata. Con la sezione ritmica spesso e volentieri schiacciata sulle scansioni del suo rifferama, Nazzaro assurge a protagonista assoluto del disco, sia nella conduzione delle melodie (e, in qualche caso, nel loro scombinamento), sia nella scelta delle timbriche, l’elemento di discontinuità più evidente con il capitolo precedente. Più che le asperità ritmiche e i funambolismi di Primus e Don Caballero, siamo ora dalle parti di certo metal strumentale, armonicamente evoluto (il solismo centrale di “Volta”, fuori dalle dissonanze e dalle sospensioni post-core della head, richiama immediatamente alla mente gli Scale The Summit di “The Migration”) ed eclettico sino allo sfinimento (nella title track, aperta da un riff quasi sludge, l’ipercinetica sei corde sembra dapprima fare il verso a “Caravan”, poi a “Peaches En Regalia”). Tanta zappiana generosità regala momenti assai felici (la fusion ultramoderna e un pizzico compiaciuta di “Dr. Pink”, con una sontuosa chiusura su arpeggi frippiani e andanti di basso), numeri gradevoli ma nella norma (gli heavy-orientalismi di “C@ks4l B4b4”, le sincopi funk-core di “Cerbero Leso”) e alcune evitabili prolissità (le cornucopie di semitoni in “Society”, troppo lunga e seppellita da un barocchissimo montante neoclassico in tapping).

La vaga sensazione di aver assistito ad un saggio di accademia non viene stornata anche dopo molti ascolti (il che mina, parzialmente, la valutazione finale), ma la piacevolezza dell’ascolto non viene messa in discussione. Il prossimo disco potrebbe davvero essere, per i Globetrotter, quello della definitiva esplosione.

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